domenica 4 ottobre 2009

FANGO SULLA COSCIENZA

A Messina il fango esisteva già, nei pensieri, nelle paure, negli incubi. L’acqua fa semplicemente il suo corso e se le case sono costruite dove non si dovrebbe, se sono sul greto di un fiume, allora cosa vogliamo aspettarci? Fango ignorato, ora è anche sulle lenzuola bianche. Uno tsunami di fango, non si può chiamarlo diversamente. Pioggia, pioggia, ancora pioggia, e poi onde di fango alte 3 metri che invece che venire dal mare, al mare andavano. Onde di fango che stavolta hanno fatto sul serio, purtroppo, non come 2 anni fa, onde che hanno inferto il colpo più crudele a paesini arroccati sul mare, come è caratteristica di queste zone, a paradisi semidimenticati, a un’Italia minore che molto volentieri minore avrebbe voluto continuare a restare, invece di finire sui telegiornali. E’ successo quello che doveva succedere quando le colline rimangono senza alberi, perché le incendiano o perché li tagliano, gli alberi. Questo incrocio di dolore e di morte, di mare e di rovine che sa tanto di Sud est asiatico, anche vicino ad un grande Ponte, resterà solo un altro piccolo macigno sulla coscienza dei politici e di chi sapeva di dover fare qualcosa prima. In disastri del genere, prevedere il momento della frana è praticamente inutile. Prevenire è l’unica soluzione. Secondo i rapporti ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale), negli ultimi 80 anni la penisola italiana è stata colpita da 5.400 alluvioni e 11.000 frane con 70.000 persone coinvolte, mentre i danni negli ultimi 20 anni ammontano a 15 miliardi di euro. Il clima sta diventando più aggressivo, dicono. Tanta pioggia può essere critica se cade su una zona predisposta. Spesso si costruisce senza attenzione, non badando ai rischi. In seguito all’alluvione di Sarno nel maggio del 1998, il governo di allora emanò un Decreto che di fatto costringeva le regioni a individuare tutte le aree a rischio dell’Italia. Questo lavoro fu svolto in fretta, ma produsse delle utili mappe del rischio idrogeologico ancora valide per identificare le aree più propense a disastri naturali. Ma una mappa da sola non basta, se non ci sono delle norme che limitano o impediscono la costruzione sulle aree a rischio. E’ teoricamente anche possibile rinforzare la resistenza del suolo, ma i costi sono proibitivi. La bonifica dal rischio idrogeologico della Calabria, per esempio, costerebbe 1 miliardo di euro all’anno per 15 anni. Per mettere al sicuro l’intera Italia, tale cifra dovrebbe essere 20 volte superiore. I comuni classificati come a forte rischio idrogeologico in Italia sono infatti 5.581. Il 21,1% dei comuni italiani ha nel proprio territorio delle aree soggette o a rischio di frana. La tragedia di Messina si poteva evitare grazie alla prevenzione, ma non prevedere con facilità. Dai valori delle piogge e dall’analisi delle mappe di rischio, si può immaginare quando e dove ci sarà la prossima frana. Tuttavia, spiegano schiettamente i tecnici, si tratta di previsioni generali e teoriche, che per essere più precise hanno bisogno di un monitoraggio continuo e dai costi attualmente insostenibili. (Un ringraziamento particolare a Roberto Inchingolo e a Marino Sorriso Salvo)

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