mercoledì 28 maggio 2008

ARRIVEDERCI POLLACK

Sydney Pollack, grande attore (era un perfetto caratterista) e regista, ma soprattutto cineasta completo (alle prime due figure univa quelle di scrittore, sceneggiatore e produttore), spentosi a Los Angeles lunedì sera, apparteneva ad una scuola che stiamo perdendo per sempre. «Luchino Visconti mi parlò a lungo di Verona quando collaborai ai dialoghi di "Senso". Non è stata una fortuna da poco lavorare con un maestro assoluto, non il solo che l’Italia abbia dato al cinema»: intervistato il 3 ottobre 1997 a Verona da Donatello Bellomo, ricordò così uno dei maestri del cinema italiano ed un'esperienza filmica del 1954 le cui riprese in interni coinvolsero anche la provincia di Vicenza. Ma anche Pollack sapeva fare bene il suo mestiere. Di origini russo-ebraiche, era considerato tra gli ultimi umanisti di una Hollywood che aveva contribuito in maniera determinante a far cambiare nei ruggenti anni a cavallo del ’68. Fu autore di film di successo, talvolta interessanti e belli, quasi sempre tratti da romanzi. Uno di quei registi che mettono al centro dei loro racconti per immagini le storie vissute degli uomini, delle donne e i loro sentimenti. Un successo straordinario fu "La mia Africa", con Meryl Streep e Robert Redford: costato 30 milioni di dollari ne incassò 90 in un solo anno aggiudicandosi ben 7 Oscar. Se c'è da dire che Pollack si godeva anche i frutti dei grandi successi degli anni ’70 e ’80 (egli figurava nel ristrettissimo club dei registi dalla mano d’oro che avevano superato i 500 milioni di dollari di incasso), è pure vero che negli ultimi anni, dominati da "effetti speciali" più che da "affetti speciali", da esseri mutanti e replicanti invece che da umani, le sue opere erano scomparse. Pochi come lui possedevano la capacità di ottenere il meglio dagli attori, lavorando di bulino sulle loro interpretazioni, ed è forse qui la chiave dei suoi film migliori.
Dei film confezionati, potrete leggere in tutti i siti di cinema e di storia del cinema. Tra i capolavori che avrebbe invece voluto girare, Pollack citò «Quarto potere» di Orson Welles, «Otto e mezzo» di Fellini, «Il generale della Rovere» di Rossellini e «Ladri di biciclette» di De Sica. «Sono i libri di testo di ogni regista. - spiegò in quell'occasione - Credo che "La Grande Guerra" di Monicelli eguagli "Orizzonti di gloria" di Kubrick e "La grande illusione" di Renoir. Per non dire di "Le mani sulla città" di Francesco Rosi, un’opera di sconvolgente modernità. L’interpretazione di Rod Steiger è da antologia».
Alla domanda «che cos’è il cinema ?», egli rispose scuotendo la testa. «Me lo chiedo spesso domandandomi cosa sto facendo. Credo che, insieme al jazz, sia la più importante forma d’arte del Novecento. L’arte non deve rappresentare né il bello né il vero né la natura ma l’ambiguo dell’esistenza, il suo enigma e il suo mistero». Una delle più belle risposte su questo tema.
Sidney Poitier, Anne Bancroft, Natalie Wood, Burt Lancaster negli anni ’60. E poi Jane Fonda, Barbra Streisand, Robert Mitchum, Faye Dunaway, Al Pacino, Paul Newman, Dustin Hoffman, Jessica Lange, Meryl Streep, Tom Cruise, Harrison Ford ed ultima solo in ordine di tempo, Nicole Kidman. Non fosse soltanto per i film, pochi possono vantare di aver collaborato con tante stelle dello spettacolo come Pollack. Ha chiuso con un documentario su Frank Gehry, creatore di sogni, il grande architetto che sfida la materia e la piega secondo la sua ispirazione. Ho visto questa sua ultima opera a Villa Caldogno, qualche settimana fa, nel corso di una serata in programma per la seconda edizione di "Scienza e società si incontrano nell'architettura". Lavoro ben girato e confezionato, ma non eccelso: Pollack ha saputo fare decisamente di meglio nel corso della sua onorata carriera artistica, rievocando progetti di vita, ideali, speranze, creando a sua volta altri bei sogni, scavando nella psicologia dei personaggi, riuscendo a proporre anche un intelligente cinema d'impegno sociale.
Questo è il mio omaggio ad uno dei miei registi preferiti, al suo metodo, alla sua misura e alla sua sensibilità. Ciao Pollack, mancherai anche a me.

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