lunedì 28 dicembre 2009

I BAMBINI CONOSCONO LA VERITA'

"Dieci anni fa a Monte di Malo, in uno dei tanti laboratori d'arte che tengo nelle scuole, una bambina di quinta elementare - si chiamava Maria Dal Pozzolo - compose questa poesia pensando a quella scultura: “Cosa stai osservando di così meraviglioso nel cielo lontano? Sto osservando la vita, il tempo che verrà, i giorni che sto aspettando. Ho in mano questo ombrello che lungo la mia esperienza mi proteggerà dai lampi accecanti, dalla forte pioggia, dal male, dai mille problemi che dovrò affrontare. Ma aspetto il mio futuro con gioia e sorridendo perché l’ombrello sono i miei amici, la mia famiglia e tutte le persone che mi vogliono bene, potrò contare sul loro aiuto. Questo ombrello sarà il mio talismano”. I bambini conoscono le risposte." (Alfonso Fortuna, scultore)

domenica 27 dicembre 2009

UNA STRAGE SILENZIOSA

Sono innocente”. È il grido di dolore che è stato trovato vergato all’interno della cella del carcere S. Pio X, a Vicenza, dopo il settantesimo suicidio avvenuto nelle carceri italiane nel 2009. Il successivo, qualche ora dopo, in una cella di Roma. Si tratta, annota l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, “del numero più alto di suicidi in carcere mai registrato in Italia”. A proposito dell’uomo che si è ucciso a Vicenza, “Non sapremo mai era davvero innocente, ma di certo sappiamo - commenta l’Osservatorio - che ha usato il suo corpo, la sua vita, nell’estremo tentativo di essere ascoltato e creduto. Premettendo che ogni decesso dietro le sbarre rappresenta di per sé un fatto inaccettabile per la civiltà del paese e per le nostre coscienze, viene da chiedersi quanti dei detenuti che muoiono ogni anno avrebbero potuto essere fuori dal carcere e, probabilmente, essere ancora vivi. E quanti di questi sono morti prima ancora di essere giudicati da un tribunale?”. Anche se la strage continua nell’indifferenza e nel silenzio, il fenomeno non può più essere ignorato.

sabato 26 dicembre 2009

(Muchas gracias a Erlich - El Pais)

venerdì 25 dicembre 2009

NATALE IN QUALCUNO

Da quando è nato nostro figlio la nostra vita è radicalmente cambiata. E’ lui che detta i ritmi, gli orari e le priorità di casa”. E’ questo il vero Natale, l’incontro con qualcuno che modifichi in modo significativo la tua esistenza a costo di tenerti sveglio la notte, se necessario. (Un ringraziamento personale a Don Marco Sanavio)

giovedì 24 dicembre 2009

PUBBLICO DE-PRIVATO

"Ogni volta che succede qualcosa sarebbe meglio usare i mezzi pubblici. Curioso che nelle nostre menti non si affacci la logica conclusione che nelle città usare l’auto crei appunto un problema di imobilità. Magari il riassunto è che con il gelo, e tutte le volte che c’è qualche intoppo, dovremmo: migliorare i treni, lasciare a casa l’auto, prendere il tram. La slitta e le renne, specialmente stanotte, le lascerei ai professionisti." (Chicco Gallus)

martedì 8 dicembre 2009

ATTUALITA' E PRESENTE


(Muchas gracias a El Roto - El Pais)

lunedì 30 novembre 2009

VIAGGIATORI DI RITORNO

E' un tardo pomeriggio d'inverno. Le luci della sera iniziano a mescolarsi ai toni scuri della giornata che si sta spegnendo. Il treno scivola nell’aria che ha il sapore della neve. Lui non può non osservarla: la ragazza che gli è seduta davanti è stupenda, addirittura splendente, e indossa un elegante cappotto che le fascia il corpo fine.

Viaggiano entrambi in seconda classe: lei stringe in grembo una borsa perfettamente intonata anche col suo umore. E' assorta, sul vetro del finestrino di tanto in tanto paiono riflettersi perfino i suoi pensieri. Sembra che abbia lasciato un dove che non intendeva abbandonare. Lui invece sta tornando in un luogo da cui vorrebbe soltanto partire. Adesso lei sta scrivendo con una penna dal colore fluo. Appena solleva la testa dal taccuino, dà l'impressione di scoprire per la prima volta il passeggero che le si trova di fronte e gli regala un dolcissimo sorriso. In quel preciso momento, lui sente nascergli dentro quelle parole. Non ha più niente da perdere, e gliele rivela: “Signorina, mi scusi, ma lei ha il sorriso sconosciuto più avvolgente che abbia mai incontrato nel mio ritorno”.

domenica 29 novembre 2009

POVERTA' RIVERNICIATA

"La nascondiamo (la nostra povertà) sotto rivestimenti verniciati, e con l’artificio di venditrici di mode: siamo poveri con gusto. Ci sono finanzieri, imprenditori, negozianti molto ricchi; i loro figli, i loro generi sono molto ricchi; in generale la nazione non lo è". Venne scritto da Francois-Marie Arouet, più noto con lo pseudonimo di Voltaire, nel 1768, che non lo firmò per evitare d'essere processato.

domenica 15 novembre 2009

ESSERE ED AMARE

"Ho sempre sognato di essere una donna, ma per fare una donna ci vuole un uomo e non so se riuscirò a trovarlo. Ho imparato a mie spese che amare qualcuno non significa necessariamente essere felici, perché amare senza essere riamati è sinonimo di sofferenza, solitudine continua e incessante. L’amore è fatto di piccole cose, un sorriso, una carezza.” (Simonetta Cesaroni, lettera ad un’amica, 1989)

mercoledì 11 novembre 2009

IL RAZZISMO SPIEGATO A UN BAMBINO

"Ho scoperto, grazie ai miei figli, che il solo modo di lottare contro il razzismo è rivolgersi ai bambini, perché loro non hanno pregiudizi. Bisogna lottare già dall'inizio contro ignoranza e pregiudizio. È per quello che il razzismo spiegato ai miei figli non è il razzismo spiegato agli adulti. Gli adulti sono cambiati dalla vita." (Tahar Ben Jelloun, scrittore marocchino)

domenica 8 novembre 2009

SISTEMA IN PENOMBRA

In Italia vivono irregolari "di lungo corso" attivamente inseriti nel contesto produttivo nazionale. Il loro tasso medio di occupazione risulta del 62%, più elevato dunque di quello della popolazione italiana (59%) ma dopo 3 anni dall'arrivo nel nostro Paese esso sale addirittura al 76%, ed è addirittura superiore a quello della pur dinamicissima popolazione lombarda (71%). Si tratta d'uno dei più rilevanti risultati del Rapporto 2009 elaborato dal Naga (ente no profit che si occupa di assistenza sanitaria agli immigrati privi di documenti). Il campione della ricerca è costituito dalle 47.500 cartelle cliniche dei pazienti che, nel periodo tra il 2000 e il 2008, hanno chiesto un sostegno a questa struttura sanitaria che ha sede a Milano. Particolare attenzione è stata prestata alle 4.400 persone che nel 2008 rivoltesi per la prima volta al Naga. Il dato che spicca è l'innalzamento dell'anzianità migratoria degli irregolari: nel 2008, ben il 30% degli immigrati del campione si trovavano in Italia da più di 4 anni. Non si tratta di marginali nullafacenti o peggio ancora, ma nella maggior parte dei casi di immigrati capaci, abili e produttivi, che non riescono a trovare un canale per regolarizzarsi e rischiano di rimanere clandestini “a tempo indeterminato" . Il 70,4% degli immigrati in Italia da oltre 4 anni vanta un'occupazione. L'irregolare-tipo ha in media meno di 35 anni ed in 4 casi su 10 è sposato. Sono genitori il 45% degli uomini e il 60% delle donne. Circa il 10% dei clandestini ha un'istruzione universitaria ed oltre la metà ha frequentato almeno le superiori del suo paese. Tra gli analfabeti solo il 35,6% possiede un lavoro. Per coloro che vivono in affitto l'affollamento medio è di 2,2 persone per stanza (a fronte dello 0,7 della popolazione italiana, così come risulta dal censimento del 2001). Tra i marginali, infine, c'è il 7% degli uomini e il 4% delle donne: risulta che vivono senza fissa dimora o in insediamenti abusivi. Il Rapporto Naga è stato curato da un team di autorevoli ricercatori: Carlo De Villanova dell'Università Bocconi, Francesco Fasani dell'University College of London e Tommaso Frattini dell'Università di Milano. (Un ringraziamento personale a Corrado Giustiniani)

lunedì 2 novembre 2009

UNA PICCOLA APE FURIBONDA

"La verità è sempre quella, la cattiveria degli uomini che ti abbassa/ e ti costruisce un santuario di odio dietro la porta socchiusa". (Alda Merini, 1931-2009)

domenica 1 novembre 2009

I MURI DENTRO DI NOI

"Vent'anni dopo la caduta del Muro di Berlino, è difficile non cogliere un po' di nostalgia. Del Muro. Quand'era uno solo. Visibile. A modo suo, rassicurante. Capace di separare il giusto dall'ingiusto e il bene dal male. Mentre oggi che è crollato - e il mondo è più largo e più aperto - incontriamo muri ovunque. Piccoli e invisibili. Siamo noi stessi a costruirli. Per bisogno di riconoscerci. Per paura di perderci. Per paura." (Un ringraziamento personale a Ilvo Diamanti)

martedì 27 ottobre 2009

IL PADRE DEI MUTILATINI, DON CARLO GNOCCHI

Don Carlo Gnocchi (1902-1956), beatificato domenica 25 ottobre a Milano, prete che fu cappellano militare alpino nella Julia durante la Seconda Guerra Mondiale ("Non basta benedire chi parte -ebbe a dire al cardinale Schuster- bisogna partire con loro"), e che a seguito della tragica esperienza della guerra si adoperò ad alleviare le piaghe di sofferenza e di miseria create da quest'ultima, era una di quelle persone che stanno dietro, in fondo, e camminano insieme agli ultimi della fila. La sua, pur segnata da molte sofferenze, fu una vita degna di essere raccontata sempre per gli esempi morali e universali che se ne traggono in continuazione. L'ultimo suo gesto d'amore lo fece, una volta morto, donando le cornee a due suoi mutilatini: fu il primo trapianto di organi effettuato in Italia. Una volta scrisse a un suo superiore: "La cosiddetta carriera, Lei sa che io la lascio volentieri agli altri". Seguì invece l'unica carriera che conti davvero.

lunedì 26 ottobre 2009

PUBBLICO E PRIVATO

“E’ giusto sottolineare il nesso invincibile di coerenza che ci deve essere tra vita pubblica e vita privata. È facile sostenere che la sfera della privacy deve esistere per tutti e che anche l’uomo pubblico ha diritto a godere della sua libertà di comportamento in quest’ambito. Tuttavia, proprio perché ha scelto di proporsi come uomo pubblico (e, va ribadito con forza, di scelta si tratta, a cui ci si può tranquillamente sottrarre se si vogliono aumentare le proprie libertà d’azione), egli non può esimersi dal considerare che il suo comportamento in qualunque sfera non può mettere a repentaglio quella dote che gli inglesi chiamano accountability. La traduzione non facile, perché il termine mette insieme la affidabilità, la limpidezza, la responsabilità che chiunque deve sapere a priori che troverà nell’uomo pubblico, specie se investito di delicate responsabilità gestionali. Quando un comportamento privato non solo diventa pubblico generando “scandalo” per le sue contraddizioni (cioè non è ritenuto accettabile dalla etica civile corrente), ma addirittura mette chi lo pratica nelle condizioni di essere ricattabile e dunque ricattato, ecco che la accountability di quell’uomo pubblico crolla. L’Italia è un Paese di tradizione tollerante, ed è sempre disposta a considerare che “la carne è debole”, ma ci sono dei limiti. Per dirla con una immagine: avere paura del fuoco è del tutto umano e comprensibile, ma nominare pompiere chi ha paura del fuoco è una imprudenza. Il rispetto per la persona non deve venire mai meno, ma prima viene quello fondamentale per le istituzioni. Un rispetto che non deve mai mancare e dal quale nessuno può abdicare. In gioco c’è la spina dorsale e civile di una società.” (Un ringraziamento personale a Paolo Pombeni)

sabato 24 ottobre 2009

FINO A QUANDO

"Non si diventa vecchi in un giorno, lo si diventa un minuto alla volta, e un minuto non è nulla, in fondo ce ne sono ancora tanti. Non ci si ammala e si muore perché milioni di cellule degenerano tutte insieme, ma una per volta, fino a quando le cellule malate sono troppe perché l'organismo possa sopravvivere." (Un ringraziamento personale a Vittorio Zucconi)

sabato 10 ottobre 2009

UN NOBEL ALLA SPERANZA

Conferire un premio tanto ambito come il Nobel a chi non è ancora riuscito a realizzare le speranze di pace sue e del mondo sembrerebbe, più che postmoderno, addirittura illogico e ingiusto. Ma né la logica, né la giustizia hanno mai fatto la Storia. Le svolte storiche, invece, son sempre avvenute in momenti fortemente critici e tramite avvenimenti all'apparenza illogici. Sembra irrazionale ed antiestetico conferire il Nobel per la Pace a chi promette, o spera, di poterla attuare, ma dovremmo andare al di là del semplice giudizio logico o realistico. La verità è che il mondo è cambiato e, con esso son cambiate le regole dell'esistenza e i metri di giudizio. È difficile accettare tali mutamenti epocali, perché gli uomini, e dunque le nazioni e la politica, sono per abitudine restii al cambiamento. Ma alcuni esseri umani riescono a guardare oltre le usuali prospettive della tradizione e della consuetudine. Oltre ciò che in un determinato momento storico viene definito normale oppure giusto. Barack Obama è uno di loro. E, a quanto pare, lo sono anche i membri del Comitato per il Nobel. (Un ringraziamento personale ad Anna Maria Cossiga)

domenica 4 ottobre 2009

FANGO SULLA COSCIENZA

A Messina il fango esisteva già, nei pensieri, nelle paure, negli incubi. L’acqua fa semplicemente il suo corso e se le case sono costruite dove non si dovrebbe, se sono sul greto di un fiume, allora cosa vogliamo aspettarci? Fango ignorato, ora è anche sulle lenzuola bianche. Uno tsunami di fango, non si può chiamarlo diversamente. Pioggia, pioggia, ancora pioggia, e poi onde di fango alte 3 metri che invece che venire dal mare, al mare andavano. Onde di fango che stavolta hanno fatto sul serio, purtroppo, non come 2 anni fa, onde che hanno inferto il colpo più crudele a paesini arroccati sul mare, come è caratteristica di queste zone, a paradisi semidimenticati, a un’Italia minore che molto volentieri minore avrebbe voluto continuare a restare, invece di finire sui telegiornali. E’ successo quello che doveva succedere quando le colline rimangono senza alberi, perché le incendiano o perché li tagliano, gli alberi. Questo incrocio di dolore e di morte, di mare e di rovine che sa tanto di Sud est asiatico, anche vicino ad un grande Ponte, resterà solo un altro piccolo macigno sulla coscienza dei politici e di chi sapeva di dover fare qualcosa prima. In disastri del genere, prevedere il momento della frana è praticamente inutile. Prevenire è l’unica soluzione. Secondo i rapporti ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale), negli ultimi 80 anni la penisola italiana è stata colpita da 5.400 alluvioni e 11.000 frane con 70.000 persone coinvolte, mentre i danni negli ultimi 20 anni ammontano a 15 miliardi di euro. Il clima sta diventando più aggressivo, dicono. Tanta pioggia può essere critica se cade su una zona predisposta. Spesso si costruisce senza attenzione, non badando ai rischi. In seguito all’alluvione di Sarno nel maggio del 1998, il governo di allora emanò un Decreto che di fatto costringeva le regioni a individuare tutte le aree a rischio dell’Italia. Questo lavoro fu svolto in fretta, ma produsse delle utili mappe del rischio idrogeologico ancora valide per identificare le aree più propense a disastri naturali. Ma una mappa da sola non basta, se non ci sono delle norme che limitano o impediscono la costruzione sulle aree a rischio. E’ teoricamente anche possibile rinforzare la resistenza del suolo, ma i costi sono proibitivi. La bonifica dal rischio idrogeologico della Calabria, per esempio, costerebbe 1 miliardo di euro all’anno per 15 anni. Per mettere al sicuro l’intera Italia, tale cifra dovrebbe essere 20 volte superiore. I comuni classificati come a forte rischio idrogeologico in Italia sono infatti 5.581. Il 21,1% dei comuni italiani ha nel proprio territorio delle aree soggette o a rischio di frana. La tragedia di Messina si poteva evitare grazie alla prevenzione, ma non prevedere con facilità. Dai valori delle piogge e dall’analisi delle mappe di rischio, si può immaginare quando e dove ci sarà la prossima frana. Tuttavia, spiegano schiettamente i tecnici, si tratta di previsioni generali e teoriche, che per essere più precise hanno bisogno di un monitoraggio continuo e dai costi attualmente insostenibili. (Un ringraziamento particolare a Roberto Inchingolo e a Marino Sorriso Salvo)

sabato 3 ottobre 2009

UOMINI E CANI

Nel dissesto idrogeologico di Messina, una delle tante tragedie annunciate che colpiscono a orologeria il nostro Paese, ci sono anche storie di cani, come per esempio, quella di Rott, 3 anni, rottweiler della Protezione civile, addestrato a fiutare segnali di vita dove tutto sembra morto, perduto. Alle 3 di notte il cane ha impedito per 3 volte al suo istruttore di mollare il sondaggio in un certo punto di un torrente. Tutto sembrava inutile ai soccorritori. Ma Rott ha insistito sino a quando dal limo è affiorata la carcassa d’auto. Dentro la prima vittima, un uomo della sciagura di Messina.

domenica 27 settembre 2009

65 ANNI DALL'ECCIDIO DEL MONTE GRAPPA

«18 novembre 1943. Di tanto in tanto, tolgo lo sguardo dalla pagina e mi metto a pensare. Penso al mondo migliore che sorgerà dal sangue e dalle rovine di questa guerra, agli uomini migliori affratellati dal vincolo comune di giustizia e di libertà». Diario di Lino Camonico, partigiano (1920-1943).

venerdì 25 settembre 2009

LA VECCHIA TASTIERA VIVE E RESISTE

La vecchia, cara tastiera, che fa da tramite tra le nostre idee e le parole tipografiche per esprimerle da almeno 150 anni, avrebbe i giorni contati? I paradossi non mancano. La tastiera virtuale ha ancora bisogno di sembrare il più possibile meccanica, con una risposta e dei suoni che arricchiscano il feedback. D’altronde uno studio della Università di Glasgow dimostra che una qualche risposta acustica riduce i refusi del 20% e aumenta di altrettanto la velocità di digitazione rispetto ad apparecchi completamente “muti”. Siamo animali sensoriali, l’udito aiuta il tatto. L’effetto collaterale è che sullo schermo restano grandi ditate. Le impronte digitali sono antiestetiche ma sono macchie umane, la prova che la macchina non è sola.

domenica 20 settembre 2009

RELIGIONE NON SIGNIFICA PRIGIONE

Nessuno ha il diritto di uccidere, nessuna religione dà al padre il potere di accoltellare una figlia. Ogni religione, anche la più rigida e austera, è comunque una costellazione di valori, è la cornice interiore di una Civiltà, della convivenza pacifica e felice degli uomini. Nella mente di alcuni uomini la religione è soltanto un alibi, il facile lasciapassare per il dominio feroce e arbitrario contro chi è più debole. È il necessario salvacondotto per edificare le mura di una prigione personale. Un piccolo carcere di famiglia in cui sono rinchiusi bambini e donne. La schiavitù, a insegnarcelo è la Storia, non ha nessun bisogno di religioni o leggi. In certe culture questa forma di oppressione, prima di tutto psicologica, coincide con il normale procedere delle cose, e tutto ciò che lo contrasta va aggredito con la rabbia di una lama che penetra nella carne. Nell’Italia del Diritto, una Donna è ancora un cittadino. Non un animale, non un mobile di casa, non un oggetto di proprietà.

sabato 19 settembre 2009

SENTIRSI VIVI

Riveliamo le nostre difficoltà quando ci troviamo all’estremo della stanchezza o quando ci sentiamo al sicuro. In questo momento lei prova entrambe le sensazioni. E' stanca, ma si sente al sicuro con lui. Lui rappresenta la testimonianza della sua esistenza. Condividere insieme lo stesso e tempo, rimanere anche pochi minuti con lui, le spegne la paura di vivere. Lui forse non è nè un ideale di bellezza nè il migliore degli uomini, ma lei si trova più bella, vede il suo compagno unico, e sente di respirare l'aria del suo sogno.

giovedì 17 settembre 2009

CHI DI STAMPA E CHI DI STAMPELLE

Stamattina presto, durante un dibattito in televisione, un giornalista ricordava che negli Stati Uniti la Costituzione contempla il diritto di stampa come uno dei diritti fondamentali dell’uomo: nonostante tutti i loro immensi problemi, gli Usa rimangono almeno nei fondamentali una grande entità democratica. In Italia, culla del diritto romano, eccetto che durante il fascismo, dove la libertà di stampa venne semplicemente azzerata e furono barbaramente represse le voci discordanti, la stampa è sempre stata “tollerata”, né più né meno, in quanto nel nostro Paese, ai livelli più alti, si pensa sempre all’informazione come a qualcosa da domare o da dirigere dalla propria parte. Come rieducare un bambino che ogni tanto fa le bizze. Se nel Nostro Paese qualcosa di buono si è fatto nel campo dell’informazione, lo si deve semplicemente a tutti quei giornalisti (o “farabutti”, ultima definizione) che quella bella e impagabile libertà se la sono conquistata umilmente giorno per giorno, anche a costo della propria salute, e qualche volta dell’esistenza.

martedì 15 settembre 2009

EXTRA MEMORANDUM

Se ritieni di dover essere coerente nelle offese a tutti gli stranieri “extracomunitari” che incontri, ricordati di insultare anche, tra gli altri: gli americani, gli australiani, i giapponesi, i neozelandesi, i cittadini del Vaticano e quelli di San Marino.

sabato 12 settembre 2009

AD UNA DONNA CORAGGIOSA

Non è mia abitudine farlo, ma stavolta sento di dover rispondere in chiaro al commento di un lettore del mio blog. Mi rivolgo alla Signora che mi ha scritto alle 3 di questa notte, dopo aver letto il mio post di ieri, venerdì 11 settembre. Il suo messaggio mi ha colpito e desidero ringraziarla della sua testimonianza. Salvo sua concessione, non lo pubblicherò per giusto rispetto della privacy. Avrò comunque piacere se lei vorrà ricontattarmi (anche reinviandomi un commento allo stesso post, indicandomi una e-mail di riferimento a cui rispondere). In ogni caso, rimarrà uno dei messaggi che danno un vero senso compiuto al mantenimento di uno spazio personale in Rete e che hanno più gratificato la mia scelta di aprire un blog. Questo post, Signora, è per dirle che sono io a ringraziare lei per il profondo significato del suo testo e per augurarle di cuore un futuro all'altezza dei suoi progetti di vita, dei sogni di chi le sta vicino adesso, e della grande forza d'animo che dimostra attraverso le sue parole.

UNA CERTA IDEA DEL PAESE

[...] "Oggi, leggendo la grande stampa internazionale, ci colgono momenti di sconforto per il ritratto che giornali famosi offrono dell’Italia degli scandali." [...] E vorremmo che i nostri rappresentanti nel mondo non dimenticassero mai la responsabilità che portano in ogni loro atto, in ogni loro parola. Essi sono l’Italia, un’Italia che ha affrontato con forti risorse anche la grande crisi economica, l’Italia delle centinaia di migliaia di imprese vitali, frutto di un antico ingegno, di una radicata cultura del lavoro, di una capacità imprenditoriale che guarda spontaneamente al mondo intero come destinatario delle opere della propria creatività. Abbiamo un’idea dell’Italia che non cambia con il succedersi di eventi che ci sembrano soltanto incidenti per nulla rappresentativi della nostra grande storia. Anche nei momenti di crisi, vediamo una società creativa, fortemente reattiva, disperante e affascinante, vividamente cosciente di se stessa, consapevole delle sue contraddizioni, ma anche della sua natura profonda e del suo destino, come partner di quella storica avventura che è la creazione di un’Europa democratica unita, alla cui crescita non saremo mai noi a porre ostacoli. Come già in passato, in momenti molto più critici, confidiamo che i disagi profondi che accompagnano il nostro sviluppo si attenueranno e verranno superati. Vediamo spinte distruttive, egoismi corporativi, superficialità demagogiche, sopraffazioni e arroganze che si sprigionano dall’interno della società italiana. Ma vediamo anche segni confortanti che sono prova di riserve sufficienti di volontà e di buon senso, capaci di correggere e curare questi nostri mali, in tempo, e col tempo. Non ignoriamo le pericolose tensioni che si manifestano, ma confidiamo nella solidità e vasta popolarità delle nostre grandi istituzioni, e scorgiamo anche tanti fatti positivi, tanti progressi sociali, civili ed economici, perfino politici, che confortano la nostra fiducia nell’idea dell’Italia che abbiamo sempre portato nel cuore." (Arrigo Levi)

venerdì 11 settembre 2009

CONTRO LA VIOLENZA DELLE DONNE NON BASTA UNA GIORNATA

Ieri le donne erano sulle prime pagine di tutti i quotidiani del Paese. Per un giorno. Occorrerebbe invece ricordare più spesso che la violenza domestica non fa differenze di giorno e di classe. Succede ogni ora, anche nelle migliori famiglie, nelle famiglie colte e benestanti come in quelle povere e degradate. Succede, e genera una gravissima forma di collusione. Nonostante crescano le denunce, ancora troppe donne perdonano infatti le percosse ricevute dai compagni. Ancora troppi uomini picchiano le loro donne. Minimizzando e giustificando in qualche modo, di fatto, troppi di noi autorizzano il perpetrarsi di un comportamento che pubblicamente condanniamo, ma che privatamente continuiamo a tollerare. La cultura della prevaricazione di genere ha a che fare con la debolezza fisica della donna, nasce nelle famiglie ma poi finisce col permeare gli spazi del lavoro e della politica. Anche le prime pagine dei giornali, o i servizi dei telegiornali, quando le foto o le immagini piccanti di qualche avvenente disgraziata rubano spazio alle notizie davvero più importanti per la nostra società.

mercoledì 9 settembre 2009

MIKE BONGIORNO E UN TEMPO CHE E' STATO

"Quando muore un’icona popolare come lui, può apparire facile il parlare, il commemorare, il ricordare. Non è così. Credo occorra per non sbagliare fare appello all’equità, alla storia, al costume di un’Italia in cui Bongiorno ha rappresentato qualcosa e quel qualcosa ha portato avanti per molto tempo. Credo occorra, forse e soprattutto, essere onesti. Non distorcere, non ingigantire, non minimizzare. Non tradire." (Dario Fo)

PREVENZIONE ? SI, GRAZIE !

Tra le tante accorate raccomandazioni da parte delle case farmaceutiche, quella di lavarsi spesso le mani. Ma perché le case farmaceutiche non riforniscono le scuole e i posti di lavoro (gratis o comunque a bassissimo prezzo) di disinfettanti?

INTERVENTO ALLA CONFERENZA INTERNAZIONALE SULLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

Intervento di Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica Italiana: "La lotta contro ogni sopruso ai danni delle donne, contro la xenofobia, contro l'omofobia, fa tutt'uno con la causa indivisibile del rifiuto dell'intolleranza e della violenza, in larga misura oggi alimentate dall'ignoranza, dalla perdita di valori ideali e morali, da un allontanamento spesso inconsapevole dai principi su cui la nostra Costituzione ha fondato la convivenza nazionale democratica. In paesi evoluti e ricchi come l'Italia, dotati di Costituzione e di sistemi giuridici altamente sensibili ai diritti fondamentali delle donne, continuano a verificarsi fatti raccapriccianti, in particolare, negli ultimi tempi, di violenza di gruppo contro donne di ogni etnia, giovanissime e meno giovani. In definitiva, qualunque parte del mondo e qualunque paese rappresentiamo, dobbiamo sentirci egualmente responsabili dell'incompiutezza dei progressi faticosamente realizzati per l'affermazione della libertà, della dignità, e della parità di diritti delle donne".

sabato 22 agosto 2009

THE U2 WHO ARE MISSING

giovedì 20 agosto 2009

LE VERITA' SEMPLICI

"Abbiamo esagerato con le idee complicate, hanno fatto il loro tempo, ora ci tocca di nuovo la semplicità, delle verità semplici in cui credere e con cui combattere per un mondo di eguali". (Fernanda Pivano)

martedì 18 agosto 2009

FERNANDA PIVANO NEL PARADISO DEI LETTERATI

Fernanda Pivano, scrittrice, giornalista, traduttrice e critica degli scrittori americani, si è spenta in una clinica privata di Milano, un mese dopo il suo novantaduesimo compleanno. Si laureò in Lettere con una tesi in letteratura americana su "Moby Dick", e il capolavoro di Melville fu la chiave che le aprì la porta sul mondo della grande letteratura americana. Nel 1943 pubblicò la prima parziale traduzione dell'"Antologia di Spoon River" di Edgar Lee Masters. Il suo mentore fu Cesare Pavese, già suo professore al liceo D'Azeglio di Torino e primo di una serie di incontri fondamentali, tra cui quello con il marito, il grande architetto e designer Ettore Sottsass. Altro fondamentale incontro fu nel 1948, a Cortina, con Ernest Hemingway. Nacque un rapporto di amicizia e di lavoro che portò in stampa, per Mondadori, la traduzione di "Addio alle armi", nel 1949. La Pivano fu la maggior curatrice delle opere dell'autore de "Il vecchio e il mare". Portò in Italia la poetica, le pagine di letteratura e di vita della Beat Generation. Di Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti e poi William Burroughs. La prefazione a "Sulla strada" di Jack Kerouac è sua. Negli anni successivi, tradusse Allen Ginsberg e Bob Dylan. Il suo approccio alla letteratura non conobbe steccati. Di Fabrizio De Andrè disse, prima di altri: "E' il più grande poeta italiano del Novecento". Raccolse i ricordi dei grandi che incontrò: Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Dorothy Parker, William Faulkner. Seguirono l'intervista a Charles Bukowski, "Quello che mi importa è grattarmi sotto le ascelle" e una fondamentale biografia di Hemingway. I suoi "Diari (1917-1973)", pubblicati da Bompiani, sono una messe di aneddoti ed episodi tratti da una vita straordinaria. Negli ultimi anni, la Pivano ha continuato a promuovere e a riconoscere il talento dei nuovi narratori d'America: Bret Easton Ellis, Chuck Palahniuk, David Foster Wallace. Il suo amore per la musica l’ha portata a partecipare al video di Luciano Ligabue, "Almeno credo", e a partecipare alla realizzazione del disco di Morgan omaggio-remake a De Andrè, "Non al denaro, non all'amore né al cielo". Se la voce letteraria di molti autori ha avuto successo nel nostro Paese, questo successo lo si deve a persone come Fernanda Pivano.

giovedì 13 agosto 2009

QUANDO LA FAMIGLIA UCCIDE

L’Italia, Paese civile, ha già dovuto rassegnarsi ad un altro tristissimo conto: ne uccide più la famiglia della mafia. A un Paese che negli anni ‘90 contava i cadaveri dei picciotti sperando che un giorno o l’altro quella guerra finisse e che, quando è finita, ha dovuto accorgersi di essere stato sfidato da un altro schifoso nemico: la violenza sulle donne. Si cominciò agli inizi degli anni Duemila a tenere d’occhio quel paradosso e si finì nel 2006: 176 vittime di omicidi in famiglia contro 146 vittime delle cosche. Da allora, ovviamente, non c’è stata più partita. Mentre la Spagna, la "caldissima" Spagna, grazie a una legge di durezza inaudita, ha fatto scendere i suoi morti in famiglia a 74 nell’ultima rilevazione annuale, noi siamo andati aumentando: 195 nel 2007, secondo dati Eures, e 149 nei primi 8 mesi del 2008 secondo l’Istat. Le statistiche, ferocemente, offrono altri due spunti: 7 vittime su 10 di questi delitti domestici sono donne e il Nord, il nostro amabile e benestante Settentrione, batte tutti, lasciando una scia di sangue lunga il 48,2%. Tra un jackpot mancato e il campionato di calcio che sta per ritornare, tra un aperitivo all'aperto e gli esami di riparazione del figlio: paginate di giornali, ma anche un senso di ingiustificata stanchezza, come se stessimo partecipando tutti a un triste rituale e che questo rituale prima o poi dovesse finire. Con qualche punta, ovviamente, di acclarata morbosità. Gialli dell’estate? Che ci sarà mai di giallo, se esiste una normalità che si spezza, se ci sono pensieri che non si contengono più, se ci sono uomini che si sentono deboli, rifiutati, che non possono portare la vita e allora portano morte. Ma perché l’attenzione su questo massacro non si trasforma, o si trasforma difficilmente in attenzione “politica”? Maria Rita Parsi, psicoterapeuta e scrittrice afferma: «Perché il potere è fatto proprio di questo, perché anche il potere è un impasto di paura, vuole asservire, assoggettare». E’ vero intanto che le denunce aumentano: erano 4.500 nel 2006 e sono diventate 6.000 due anni dopo solo calcolando quelle arrivare al 112 dei Carabinieri. Ma è solo l’inizio di un cammino che chissà mai quando verrà completato. Ci sono dati Istat che fanno rabbrividire. Alla fine di un’indagine andata avanti per 5 anni, su un campione di 25.000 donne, proprio l’Istat ha dovuto concludere che il 91,6% degli stupri non viene denunciato, che il 96% delle “ingiurie fisiche” passa sotto silenzio. E allora viene in mente, lacerante, la tremenda rivelazione che fece 2 anni fa l’allora ministro dell’Interno Giuliano Amato: in Italia, ogni anno, subiscono violenza di vario tipo 1.250.000 donne. Siamo ancora un Paese civile? (Notizie tratte da "Il Messaggero", 13 agosto 2009)

domenica 9 agosto 2009

SOLO

"Il tuo Cristo è ebreo. La tua democrazia greca. Il tuo caffè brasiliano. La tua vacanza turca. I tuoi numeri arabi. Il tuo alfabeto latino. Solo il tuo vicino è straniero". Manifesto sui muri di Berlino (1994).

mercoledì 5 agosto 2009

THE DEATH GRIND by ENDRE BARATH

domenica 2 agosto 2009

UNA FEDE IN SE' STESSA

Dopo il trionfo in acqua, una giovane ma già plurimedagliata campionessa viene sommersa da ondate di microfoni. Alla domanda: "Ti senti la più grande di tutti i tempi?", lei risponde sì, che si sente così già da qualche tempo. Apriti cielo, più meno direttamente giungono polemiche e piccati commenti da parte di altri campioni, qualcuno anche un po' invelenito da tanta affermazione. Tra tutti, il commento più degno di riflessione:"Campione è chi sa riconoscere i meriti degli altri". Chi merita più biasimo, un bugiardo cortese o un sincero egocentrico? In verità, la ragazza ha solo risposto apertamente ad una domanda secca, mentre tanti altri campioni (tanti duraturi, alcuni solo meteore), perfino alla fine della carriera fingono malamente modestia di fronte alla stessa identica domanda.

SE IL MARE NON VALE UNA CICCA

Fumare in spiaggia viene considerato uno dei massimi piaceri all’aria aperta, naturalmente per chi è fumatore. Per chi non fuma, invece, è soltanto una disgrazia, specialmente pensando a ciò che sarà dei mozziconi. Il problema non è di poco conto. Ogni anno infatti, i mozziconi di sigarette, col loro contenuto di catrame e nicotina e il filtro, che impiega da 1 a 5 anni per degradarsi, formano il 37 % dell’immondizia raccolta nel Mar Mediterraneo.

venerdì 31 luglio 2009

TRA STORIA E RICORDI: L'ELMETTO ADRIAN, ICONA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE


di Saverio Mirijello


Un oggetto in sé non ha nulla di male: è il suo utilizzo a renderlo strumento apportatore di beneficio, di benessere oppure di sventura e sofferenza. Ogni oggetto, pur apparentemente semplice e nella sua fredda immobilità, può dunque esprimere, nel bene e nel male, la rappresentazione di un’epoca. E a volte ciò accade in un modo tanto intenso e diffuso da rendere quello stesso oggetto profondamente emblematico e significativo. Come l’elmetto Adrian, l’icona più rappresentativa della Grande Guerra, l’inseparabile compagno del soldato delle grandi battaglie combattute sul suolo veneto, europeo e mondiale, nel primo grande conflitto che scosse l’umanità. La storia di questo copricapo parte da un’idea concepita dall’ufficiale Louis Auguste Adrian chiamato, nel 1914, a risolvere in tempi rapidi i seri problemi di equipaggiamento delle truppe francesi, e che riuscì ad escogitare una delle protezioni belliche più diffuse della storia moderna.
La concezione ed estetica dell’Adrian rappresentarono il momento di transito da una guerra antica ad una moderna: per via delle ridotte dimensioni, per il profilo, per la sua leggerezza e semplicità concettuale, non a caso l’elmetto francese assomiglia molto anche agli elmi semplici ed essenziali dei soldati più antichi. Si stima in generale che la produzione complessiva dell’elmetto Adrian si aggiri intorno a circa 20 milioni di esemplari, distribuiti in vari periodi e in numerosi Paesi. E’ una stima comunque approssimativa, dato che molti eserciti usarono l’elmetto francese.
Prima della rapida diffusione dell’Adrian tra le truppe, si andava in guerra con dei caschi improbabili, spesso meramente rappresentativi, se non addirittura d’ingombro; già appena dopo l’inizio del suo impiego, seppur non del tutto risolutivo per la salvaguardia del capo (risultava infatti pericolosamente fragile ai colpi diretti sul fianco), esso rappresentò l’inizio di una profonda rivoluzione nella dotazione difensiva, e venne presto adottato per essere impiegato per lungo tempo anche dopo la Prima Guerra Mondiale, dagli eserciti di una ventina di nazioni.
Le stesse forze armate italiane continuarono ad adottare il copricapo della Grande Guerra come elmetto d’ordinanza per tutti gli anni ’20 e per parte degli anni ’30.Per disegno e materiali, l’intuizione dell’ufficiale Adrian rappresentò un nuovo modo di concepire la guerra, tenendo in considerazione la sopravvivenza dei soldati.
L’Adrian divenne l’immagine stessa del fante, dell’uomo esposto all’imperversare degli eventi bellici, ed ancor oggi evoca, andando ben oltre l’apparente freddezza del metallo, vicende umane tanto minime quanto grandiose di un grande conflitto.
Se l’elmetto tedesco, studiato da un chirurgo, August Bier, e contemporaneo del copricapo transalpino, ha lasciato in particolar modo un’impronta indelebile nella successiva storia dell’elmetto militare, l’Adrian fu l’elmetto più diffuso durante il conflitto ed indossato invariabilmente da soldati e generali.
L’Adrian è forse divenuto il simbolo della I Guerra Mondiale perché, non avendo lasciato eredità tecnico-militari di particolare rilievo, la sua immagine è inevitabilmente rimasta legata al primo grande conflitto mondiale.
Del resto, fatte alcune eccezioni, il casco metallico francese rimase nella sua struttura di base assolutamente immutato, e questo contribuì senz’altro a renderlo un’icona certa e immutabile della Grande Guerra.
Di un copricapo ci può essere molto da scoprire. Un elmetto, anche nel suo attuale stato di conservazione, ci racconta infatti sempre qualcosa della sorte di chi lo ha utilizzato. Così, se un esemplare sostanzialmente integro ci fa pensare bene circa la sorte del soldato che lo indossò, altrettanto inconsciamente un elmetto forato da una pallottola o lacerato da una scheggia, come se ne trovano ancora negli scavi nei luoghi veneti che furono interessati dalle battaglie, ci riconduce ad una tragedia in battaglia e alla storia d’un uomo con la pagina finale barbaramente strappata.


(Da "Veneti nel Mondo", agosto 2009)

giovedì 23 luglio 2009

FALLIRE NON E' MORIRE PER SEMPRE

Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio”.“Harry, rivisto” di Mark Sarvas, è uno dei migliori testi da leggere nel 2009. Storia dolorosa ai limiti del sadismo, comica ai limiti della tragedia e salvifica, per quanto possibile, d'un eroe del fallimento moderno, in edizione zippata. Se potete, non perdetevelo.

sabato 11 luglio 2009

sabato 4 luglio 2009

LA STORIA SENZA TESTIMONI NON ESISTE

"...E' un aspetto, questo, dello strano mestiere di cronista che non cessa di affascinarmi e al tempo stesso di inquietarmi: i fatti non registrati non esistono. Quanti massacri, quanti terremoti avvengono nel mondo, quante navi affondano, quanti vulcani esplodono e quanta gente viene perseguitata, torturata e uccisa! Eppure se non c'è qualcuno che raccoglie una testimonianza, che ne scrive, qualcuno che fa una foto, che ne lascia traccia in un libro è come se questi fatti non fossero mai avvenuti! Sofferenze senza conseguenze, senza storia. Perché la storia esiste solo se qualcuno la racconta. E' una triste constatazione; ma è così ed è forse proprio questa idea - l'idea che con ogni piccola descrizione di una cosa vista si può lasciare un seme nel terreno della memoria - a legarmi alla mia professione..." (Tratto da: "Un indovino mi disse" di Tiziano Terzani)

venerdì 3 luglio 2009

ONESTA' E CORAGGIO CHE VENGONO DA LONTANO

1) Ha trovato per strada il portafoglio perso da un dirigente calcistico con 15mila euro fra contanti e assegni e, da vera persona onesta, lo ha consegnato alla polizia. Protagonista del gesto, avvenuto a Trento, un marocchino disoccupato. Abdessamad Nesmy, 39 anni - racconta il quotidiano "L'Adige" - non trovando alcun numero telefonico all'interno del portafoglio si è recato subito in questura. Qui gli agenti sono riusciti a risalire al proprietario, Claudio Tonetti, vicepresidente del Mezzocorona Calcio. Ormai rassegnato alla perdita del portafoglio, di cui aveva denunciato la scomparsa, l'uomo ha così potuto riottenere la somma e lasciare la giusta ricompensa al marocchino. "I soldi piacciono a tutti - dice Nesmy - ma io non prenderei mai nulla che non sia mio". E aggiunge: "Da febbraio sono disoccupato, per la crisi ho perso il lavoro come magazziniere, ma quei soldi non li avrei mai tenuti";
2) Il Principe degli Angeli di una notte di fiamme veniva dall’altra parte del mare. Si chiamava Hamza e aveva 16 anni, frequentava un istituto tecnico di qui e andava pazzo per il pallone, come i nostri ragazzi, come gli amici che aveva lasciato in Marocco. Il destino ha voluto inchiodarlo a un disastro, quello alla stazione ferroviaria di Viareggio (Lucca), e si sa che i disastri richiedono eroi. Per questo Hamza, quando lingue di fuoco alte fino a quaranta metri hanno avvolto la sua casa dall’altra parte della stazione, dalla parte povera di una Viareggio che pure sul mare fa risplendere tutto il suo liberty, ha cominciato a perlustrare le stanze a una a una come una furia, in cerca della sorellina di due anni. Non hanno potuto fermarlo. Ha trovato la bambina, Hamza, e l’ha issata sulle sue braccia forti di adolescente fino a scaraventarla dolcemente fuori della casa, fuori pericolo, terrorizzata ma viva come il cuore forte del ragazzo aveva voluto. In quella casa c’è rimasto lui, povero Angelo, prima svenuto, poi asfissiato e infine miseramente carbonizzato. Irriconoscibile si sarebbe detto, se solo la disperazione della sorella più grande - vent’anni e pure anche lei così forte e decisa - non l’avesse strappato a una misera sepoltura riconoscendo i resti della collanina che Hamza portava sempre al collo. Tutto questo è accaduto in un pomeriggio appiccicoso di fine giugno all’ospedale di Pietrasanta, con un crocchio di altri marocchini fuori che raccontavano e piangevano Hamza e le sue gesta. Una comunità unita, discretamente integrata, che adesso ha trovato il suo martire e vuole pur dirlo al resto del mondo.

sabato 27 giugno 2009

IRAN: REALTA' E DESCRIZIONE

Allontanati con forza i giornalisti stranieri, opportunamente imbavagliata l’informazione interna, precipitosamente spenti i microfoni, immediatamente oscurate le telecamere, per avere notizie su quanto sta accadendo a Teheran in questi giorni non rimane che affidarsi alla tv di Stato iraniana. Oppure al web. La prima, inutile dirlo, non è attendibile: controllata dal potente di turno, come in altri parti del mondo, fornisce un’informazione quanto meno distorta, se non addirittura una non-informazione, che è decisamente peggio. Resta quindi il Web, rimangono i Blog e i Social Network su cui scorrono a raffica le notizie, scritte o filmate, caricate e rilanciate da chi vede con i propri occhi ciò che accade davvero sotto la sua finestra, davanti al portone di casa, ai compagni di lotta che marciano accanto a lui o ad inermi passanti, perchè pure in Iran uno ha il diritto di uscire di casa ogni tanto. Si tratta forse di una visione limitata della situazione, circoscritta ad un piccolo ambito, ma quando le voci sono molteplici, variegate, allargate a macchia d’olio, allora l’informazione sugli avvenimenti assume un carattere decisamente emblematico sull’Iran del dopo voto "democratico". Se per questo tipo di informazione mancano la verifica e i riscontri oggettivi, l’importante è prudentemente prendere il tutto con le molle. Resta in ogni modo il fatto che, di norma, le testimonianze raccolte in diretta, scremate dagli eccessi, sono attendibili.

sabato 6 giugno 2009

GIORNALISMO E PETTEGOLISMO

Si discute sul futuro del giornalismo a fronte dell'avanzata prepotente di Internet. Quasi un secolo fa, in "Dalla parte di Swann", Marcel Proust scrisse: "Quel che rimprovero ai giornali è di farci prestare attenzione ogni giorno a cose insignificanti, mentre non leggiamo che tre o quattro volte in tutta la vita i libri dove ci sono cose essenziali". Se il panorama giornalistico attuale vede quotidiani sempre più simili a settimanali di pettegolezzi e telegiornali fratelli gemelli dei reality, quale futuro sarà riservato all'informazione popolare? Qualsiasi superficialità potrà sostituire anche il miglior reportage di un cronista?

martedì 2 giugno 2009

1989-2009: VENT'ANNI DA TIEN AN MEN

Sono passati 20 anni dai cosiddetti "incidenti della Piazza Tien An Men", la grande rivolta cinese capitanata dagli studenti universitari, scoppiata nell'aprile 1989 e finita in giugno, soffocata nel sangue, che ebbe il suo culmine a metà maggio, con l'occupazione della grande piazza di Pechino. Non è mai stata fornita una versione ufficiale di quanti furono uccisi sulla stessa piazza, quando all'esercito fu dato l'ordine di sparare sulla folla. Ma ci furono altri morti: quelli successivi, quelli processati e quelli condannati per aver preso parte o capeggiato la rivolta. La Cina di oggi sarebbe diversa se il governo avesse reagito in altro modo alla rivolta popolare? Nessuno può saperlo. La Cina cresceva già a quel tempo ad un ritmo del 10% annuo. Deng Xiao Ping, vera figura dominante del Paese nonostante non avesse cariche importanti, a parte la presidenza della Commissione militare, riconosciuto mente della repressione, fu lo stesso che negli anni Novanta fece aprire le porte al Mercato e pose le basi per fare della Cina la potenza mondiale che è oggi. La politica ha spesso ben poco a che fare con la morale, e la prosperità che ne deriva molte volte è l'ultima conseguenza di una perversa sequenza di orrori e tragedie.

mercoledì 27 maggio 2009

PASSATO FUTURO

Visto che gli altri fanno sempre meglio di noi italiani, allora bisogna constatare pure che, a causa della recessione e della contrazione dell’economia, sta crollando l’emigrazione dei messicani verso gli Stati Uniti (quasi il 50% in meno rispetto a un paio d'anni or sono) e aumenta il numero di coloro che lasciano gli Usa per tornare nei paesi di origine, rendendo quindi sempre più inutile il famoso muraglione di contenimento che si intende(va) costruire e che forse ora servirà per impedire che se ne vadano davvero. Visto che anche l’economia italiana si sta restringendo preoccupantemente (meno 5,9% nel primo trimestre, peggio di noi ha fatto solo la Germania) si deve dare atto che di questo passo qualsiasi strategia anti-immigrazione potrebbe funzionare e i barconi potrebbero essere costretti, senza particolari forzature, a fare rotta altrove. Torneremo poveri (ma non multietnici) e se proprio le cose andranno ancora meglio, un giorno sui barconi ci saliremo noi italiani, come in fondo si faceva fino a un paio di generazioni or sono. (Un ringraziamento personale a Vittorio Zucconi)

martedì 26 maggio 2009

QUELLA STRANA PAROLA: "DEMOCRAZIA"

Senza un giornalismo che ci chiama costantemente a rispondere delle nostre azioni, che ci mantiene onesti, che sa essere duro e vivace, questa cosa chiamata democrazia non può funzionare”. Barack H. Obama, discorso ai corrispondenti dalla Casa Bianca, 9 maggio 2009.

lunedì 25 maggio 2009

SE MANCANO I VERI LEADER

Gli affari italiani potrebbero andare meglio ? Torna in mente la famosa risposta di Toro Seduto, Tatanka Yotanka, quando gli fu chiesto come mai gli indiani, che erano molto più numerosi dei bianchi, avessero perduto la guerra: “Perchè da noi - spiegò - c’erano sempre troppi fottuti capi e mai abbastanza indiani”.

domenica 26 aprile 2009

SULLA VITA E LA MORTE

La più bella lettera a un giornale nell'anno 2008, quello di Eluana, è una lettera contro l'accanimento terapeutico, proclamata a Salsomaggiore "Lettera dell'Anno per il 2008". E' stata scritta da Maria Giuseppina Turolla, un medico fisiatra di Reggio Emilia, ed è stata pubblicata su Repubblica il 14 ottobre del 2008 con il titolo "Accettare la morte senza inutili crudeltà".
Riporto l’ultima parte del testo: “Occuparsi della morte è molto difficile e il mio pensiero non ha nulla a che vedere con l'eutanasia. Sto parlando di differenziare la vita dalla morte. E di usare ogni strategia terapeutica nel primo caso e amore e pietà nel secondo. Basterebbe, forse, farne una questione di razionalizzazione delle risorse, senza tirare in ballo l'etica e la morale che da molto tempo paralizzano ogni tipo di intervento. Basterebbe riuscire a differenziare le terapie della vita dall'accompagnamento della morte. Quest'ultimo basato non più su inutili e crudeli tentativi di normalizzare i parametri vitali ma sull'attenzione alla soggettività del paziente, alle sue intenzioni e al contenimento del dolore e dell'angoscia".

sabato 25 aprile 2009

RICORDARE IL 25 APRILE

Perché ricordare il 25 aprile ? La storia di un popolo ritrova nelle sue feste nazionali un momento di forte di presa di coscienza di ciò che costituisce il fondamento del bene comune. Bisogna ricordare che il cammino della ripresa e della ricostruzione non è mai terminato perché libertà, pace e giustizia sociale sono beni da difendere e promuovere giorno per giorno e in ogni contesto.
Il tempo sin qui trascorso dai giorni della Liberazione ha maturato lo spirito della pacificazione e la libertà guadagnata è divenuta patrimonio di tutti. Le generazioni cui apparteniamo sono figlie di quella storia e di quella Liberazione: dopo di essa la libertà è divenuta un bene pubblico di uso quotidiano, e il problema quotidiano è diventato quello di farne l’uso migliore.
Il 25 aprile fu, in ogni caso, il giorno della riappropriazione della nostra libertà e della ricomposizione dell'unità nazionale proprio nel nome della libertà che costituì la base per il riconoscimento della dignità delle persone.
Ricordiamoci che la strada verso il disastro è fatta di lenti scivolamenti verso il basso. Si comincia con l’abbandonare la fatica della documentazione, della riflessione critica sui fatti. Si trascura la diligenza del proprio impegno civico, si tollera la piccola corruzione. Non ci si alza in pubblico a contestare i mentitori e così, un po’ per volta, la fibra morale di un popolo marcisce. Ricordiamoci che coloro che non ricordano il passato prima o poi sono purtroppo destinati a riviverlo.
Celebrare la data del 25 aprile significa sentirsi cittadini di una Repubblica che non vuole congedarsi dalle sue origini
. (Brani da discorsi ufficiali pronunciati nella provincia di Vicenza il 25 aprile 2009)

martedì 21 aprile 2009

UNA LISTA PURTROPPO SEMPRE UTILE

Non dimentichiamoci di cosa ha essenzialmente bisogno una popolazione decimata da eventi eccezionali come una calamità:

- CASSE D'ACQUA MINERALE
- PASTA (RISO)
- ALIMENTI PER CELIACI
- PELATI
- ASSORBENTI IGIENICI PER DONNA
- SUCCHI DI FRUTTA
- BISCOTTI
- TONNO IN SCATOLA
- CARAMELLE
- ZUCCHERO
- CARNE IN SCATOLA
- SAPONETTE

- SALVIETTE UMIDIFICATE

- PASTA FISSAN
- CONFETTURA
- OLIO
- CRACKERS
- GIOCATTOLI
- FETTE BISCOTTATE E ALTRI PRODOTTI PER

LA PRIMA COLAZIONE
- CARTA IGIENICA
- FRUTTA SCIROPPATA
- COPERTE
- LATTE A LUNGA CONSERVAZIONE
- VESTITI
- LATTE IN POLVERE (scadenza non inferiore ai 6 mesi)
- SACCHI A PELO
- LEGUMI IN SCATOLA
- LENZUOLA
- OMOGENEIZZATI E PRODOTTI ALIMENTARI

PRIMA INFANZIA
- BIANCHERIA INTIMA
- PANNOLINI PER BAMBINI
- FEDERE
- PANNOLONI PER INCONTINENTI
- CUSCINI

Si possono aggiungere anche:
GIOCATTOLI, MATITE E PENNARELLI COLORATI, BLOCCHI DI FOGLI DA DISEGNO, ecc.

NOTE IMPORTANTI:
Il materiale alimentare deve avere la data di scadenza piu’ distante possibile.
Il vestiario deve essere preferibilmente nuovo (o ben lavato e senza pezzi mancanti tipo bottoni e cerniere), soprattutto l’intimo, e imbustato.

Nei centri di raccolta ci può inoltre sempre essere bisogno di materiale da imballaggio: SCATOLONI, NYLON, NASTRO DA PACCHI.

(Un ringraziamento a Christian Zocchetta per la consulenza)

domenica 19 aprile 2009

IL COLPO DECISIVO

Wilbur Smith, scrittore di 76 anni e di 31 best-seller internazionali, intervistato dal Financial Times, raccontando le sue imprese di cacciatore, ha detto: “Devi essere consapevole del pericolo. Ma devi mantenere assoluto controllo di te. Il trucco è avvicinarti più che puoi. Perchè il primo colpo è assolutamente cruciale. Non vuoi avere un leone ferito nelle vicinanze”. Non saprei spiegarne esattamente il perchè, ma mentre rileggevo queste parole mi sono curiosamente, e preoccupantemente, venute in mente altre cose.

giovedì 9 aprile 2009

LA LEZIONE DEL MALE

Le umilianti immagini delle case sbriciolate dei paesi abruzzesi ci hanno fatto immaginare, e sperare, che oltre al dolore esista anche una folgorante bellezza nella semplicità della vita di ogni giorno. Qualcosa che questa gente ritroverà più avanti, come premio alla tenacia del sopravvivere e come risarcimento per ciò che si è dovuto lasciare in una notte qualunque. Dopo tutta la disperazione e la sofferenza che oggi si presentano intorno a una importante parte di popolazione italiana, forse ci sarà finalmente un luogo dell’animo dove ogni cosa perduta rivivrà e tornerà come prima. E’ una lezione anche per i più fortunati, perché il male alla fine abbia un senso, e nulla rimanga disperso inutilmente, o sia perfino troppo banale pensare di raccoglierlo in qualche modo e portarlo a casa, nel cuore.

mercoledì 8 aprile 2009

IL FUTURO DI UNA TERRA CHE TREMA

In queste ore almeno un pensiero va dedicato a tante vittime di un ennesimo disastro naturale (e umano) nel nostro Paese. Alle vittime ufficiali e a quelle incalcolabili, perchè anche in Abruzzo non sono soltanto state distrutte molte vite innocenti, ma è stata anche lacerata l'esistenza di chi resta senza più nulla.
Chi lo ha vissuto personalmente, racconta che essere svegliato nel cuore della notte dal letto che balla per il terremoto è un’esperienza che rimane terrificante. E' qualcosa di profondo, e qualcosa di animale scatta dentro di te, aggiungendosi alla sensazione che non si può mai sapere se quelle prime scosse saranno soltanto il preludio di una tragedia.
I terremoti colpiscono e non hanno tessera di partito, non sono colpa di chi governa, anche se si scatena naturalmente la reazione del “si potevano prevedere?”. Responsabilità piena dei governi che si susseguono sono la costruzione di veri edifici antisismici nelle zone a rischio, la prima risposta quando la catastrofe avviene, l’assistenza e la ricostruzione nei tempi e nei modi. Non è colpa del governo ladro se piove, è colpa del governo se non arrivano gli ombrelli e si costruiscono invece abitazioni inutili, edifici pubblici maestosi ma ridondanti, ponti avveniristici per la gloria, centrali magari nucleari in aree che tutti i sismologi sanno che prima o poi si smuoveranno. Ora vedremo come il governo italiano risponderà efficacemente ed efficientemente al disastro d’Abruzzo. Uno Stato si giudica soprattutto su queste cose, non sulle idiozie infantili delle foto, delle visite ufficiali preconfezionate o delle barzellette ai vertici. (Un ringraziamento personale a Vittorio Zucconi)

domenica 22 marzo 2009

IL BENE CHE ANCORA C'E'

Da molto tempo ormai, chi persegue il Bene comune è considerato un idealista. Tanto che sembra che solo i cattivi oggi possano difenderci dai cattivi che ci minacciano. Si salva soltanto il pubblico con la p minuscola. La società intesa come una platea indistinta di spettatori che assistono indifferenti alla politica, alla cronaca nera (più suscettibili però di fronte a quella rosa), alle partite di calcio. Perennemente davanti agli schermi e ai media. La politica li invoca solo in caso di emergenza, come pronto soccorso. Dove si giunge in condizione di necessità e di urgenza, spesso in ritardo. Così l'esasperazione e il risentimento, invece di sopirsi, si moltiplicano ancor di più. Ma il bene comune non è mai scomparso. Anzi, muove i sentimenti e i comportamenti di gran parte delle persone. Basta pensare all'agire altruista e solidale. A quanti, e sono tanti, fanno donazioni, dedicano parte del loro tempo ad attività volontarie. A quanti, e sono tanti, si impegnano, nel loro quartiere e nel loro paese, per fini comuni: nella tutela dell'ambiente, del paesaggio, in azioni caritative. A quanti, e sono tanti, si mobilitano a sostegno di valori universali: la pace, la solidarietà, il lavoro. Perché il bene comune non serve solo al bene comune ma anche al bene(ssere) di chi lo persegue e lo pratica. Perché agire in "comune", per il bene "comune" soddisfa il "proprio" bene; il proprio bisogno di identità, di riconoscimento. Perché abbiamo bisogno di altruismo e di comunità. Ma, appunto, si tratterebbe solo di provocazioni. Per scandalizzare e, magari, far parlare i media. Guai a dire alla gente che è meglio di come è dipinta ed essa stessa si dipinge. Che, anche se non lo vuole ammettere, se non ne vuol sentir parlare: contribuisce al "bene comune". Guai. Penserebbe che la prendi in giro. Peggio: che la insulti e intendi metterla in cattiva luce. Meglio rassegnarsi, allora. Meglio consumare la dose quotidiana di "bene comune" di cui abbiamo bisogno quando e dove nessuno ci vede. Da soli, o in associazioni specializzate, o nel silenzio circostante, in forma anonima. (Un ringraziamento personale a Ilvo Diamanti)

venerdì 20 marzo 2009

LE COSE CHE CONTANO

Aveva fatto la guerra, era stato prigioniero dei tedeschi, in paese raccontavano che l’avevano chiuso in una stanza con cinque cani affamati. Lui non ne parlava mai. Era tornato a casa e ciò gli bastava. Ero un bambino, mi costruiva fucili ad acqua svuotando canne di bambù. Un giorno mi disse: “Il destino è un alibi. Non esiste il destino. Ci sono solo scelte da fare. Alcune sono facili. Altre no. Ma sono quelle che contano davvero e che fanno di noi delle persone”. (Un ringraziamento personale a Dario Cresto-Dina)

lunedì 16 marzo 2009

BENTORNATI RAGAZZI

Con grande sollievo condivido la serenità generale ritornata alla notizia che un mio connazionale e concittadino ritornerà a casa dopo essere stato sequestrato a Seri Umra, nel Nord Darfur (Sudan Occidentale) con altri tre operatori umanitari di Medici Senza Frontiere (MsF).
Con grande indignazione constato, allo stesso modo, che dobbiamo ritrovarci felici per la liberazione di persone le quali, sin dall'inizio di una qualsiasi delle tante assurde guerre disseminate per il mondo, si prodigano per dare comunque assistenza a popolazioni spesso povere, puntualmente abbandonate, costantemente impaurite, perennemente stremate. Viviamo in un mondo che riesce a contraddirsi in ogni istante. In qualunque modo (e mondo) sia, bentornati ragazzi.

domenica 15 marzo 2009

UN SOLO LUOGO

C’è un romanzo del 1960, intitolato “To kill a mockingbird”, dell’americana Harper Lee, uscito in Italia col titolo “Il buio oltre la siepe” e diventato uno splendido film con Gregory Peck nella parte del protagonista. La storia si svolge nel profondo sud degli Stati Uniti, in Alabama, negli anni ‘30. Un giovane nero viene accusato di avere violentato e picchiato una donna bianca, reato che in quei tempi e in quel clima può portarlo dritto alla sedia elettrica. Un avvocato bianco, convinto della sua innocenza, accetta di difenderlo, attirandosi l’odio di tutta la cittadina in cui vive. Alla fine, nonostante il processo dimostri l’evidente innocenza dell’imputato, questi viene riconosciuto colpevole; e morirà, in attesa del processo di appello, mentre cerca di fuggire di prigione. Ma la cosa più bella e più attuale del libro è l’arringa conclusiva di Atticus, l’avvocato, in tribunale. Eccone una traduzione e un sunto approssimativi, ma sono parole che suonano di grande attualità per il mondo e per l’Italia di oggi, indipendentemente dal fatto se i rumeni di Roma siano colpevoli o meno. (N.B.: E’ da ricordare il periodo in cui si svolgono i fatti, gli anni ‘30 della Grande Depressione economica, e il luogo, il sud degli Usa dove vigevano segregazione razziale e profondi pregiudizi. Ecco dunque cosa dice l’avvocato difensore alla giuria, interamente composta di uomini bianchi. ”Signori, i testimoni a favore dell’accusa si sono presentati a voi nella cinica presunzione, nella diabolica presunzione, che tutti i Negri mentono, che tutti i Negri sono fondamentalmente esseri immorali, che non c’è da fidarsi di tutti gli uomini Negri quando sono attorno alle nostre donne. Ma voi conoscete la verità, e la verità è questa: alcuni Negri mentono, alcuni Negri sono immorali, di alcuni Negri non c’è da fidarsi quando sono attorno alle donne - nere e bianche. E’ una verità che si applica alla razza umana e a nessuna particolare razza di uomini. Non c’è in quest’aula un solo uomo che non abbia mai mentito, che non abbia mai commesso qualcosa di immorale, e non c’è uomo vivente che non abbia mai guardato una donna con desiderio. Thomas Jefferson una volta disse che tutti gli uomini sono creati uguali. Ebbene, noi sappiamo che in realtà non tutti gli uomini sono creati uguali: alcuni sono più intelligenti di altri, alcuni hanno migliori opportunità, alcuni hanno più soldi, alcuni hanno più talento. Ma c’è un luogo in questo paese in cui tutti gli uomini sono uguali, in cui il povero è uguale a Rockefeller, lo stupido uguale a Einstein, l’ignorante uguale al professore universitario, e quel luogo sono le corti di giustizia. I nostri tribunali hanno i loro difetti, come ne ha qualsiasi istituzione umana, ma in questo paese le corti di giustizia sono i grandi livellatori, nei nostri tribunali gli uomini sono tutti uguali”. (Un ringraziamento personale a Enrico Franceschini)

giovedì 12 febbraio 2009

LA RAGAZZA CHE VOLEVA MORIRE

Beppino Englaro ha scritto della figlia Eluana: “Era assoluta verso se stessa: o tutto o niente. O una vita traboccante di sè o la morte. Niente compromessi, niente grigi nella sua scala di valori”. Mentre attorno alla ragazza che voleva morire -e che non si voleva lasciar morire- è andato in scena il grande ballo dei compromessi tra lo Stato e la Chiesa, Eluana ha saputo piantare, seppur da immobile, una spina nelle nostre coscienze di persone vive e presumibilmente reattive, spingendoci al punto di chiederci quanto grigio ci sia dietro al nostro ideale coraggio, dentro alla nostra presunta equilibrata morale. Se la vicenda dolorosissima di Eluana può insegnarci qualcosa, può essere forse nell'indurci a riflettere sul fatto che nessuno detiene il potere di influenzare gli altri con le proprie credenze. In fondo tutti viviamo con approcci differenti alla vita e con modi diversi di declinare i valori fondamentali. Il vero rispetto delle differenze, che annulla il relativismo, è un valore fondante del vivere civile ed è un fondamento di civiltà. Mentre Eluana ha terminato il suo viaggio terreno, e ora è il cielo la sua casa, molte altre persone vivono in quella stessa stazione di parcheggio sensoriale e dimensionale. Se la sua storia non ha avuto un bel finale, potrà riconquistarlo in ognuno di noi se da questi giorni disperati impareremo a nutrire maggior rispetto per l'inizio e la fine di una vita.

martedì 3 febbraio 2009

VUOTO CONTRO VUOTO

In questi giorni si è parlato della vile legge del branco, degli atti più assurdi commessi da agglomerati di individui spenti, di stupidità all'ennesima potenza, delle nefandezze possibili e immaginabili perpetrate da orde di vigliacchi, dei fattori generazionali e razziali, delle perversità di razziatori, stupratori, giovani annoiati, di furti, ricatti, droghe, aggressioni, di molestie, di reati imbecilli contro il patrimonio comune, di oscenità e malvagità assortite, di vandalismo idiota e di piromania a basso rischio. Si è discettato inoltre sul vuoto creato dalla segregazione e dall'autosegregazione, e della pochezza di squallidi giustizieri di borgata. Hanno aggiunto che oggi ai giovani manca anche una chiara forza idealistica, che ciò che rende il branco una minuscola comunità violenta è proprio la non appartenenza a una comunità politica. Ovviamente si è s-parlato della televisione che estrae il peggio dalle persone con la sua sciatteria propalata a tutte le ore. Che ci vuole ormai un agente di pubblica sicurezza per ogni persona, e forse non basterebbe ancora. Probabilmente a questo elenco manca ancora dell'altro. Molti purtroppo si sono dimenticati di proporre anche qualche valida idea per riuscire a convogliare le preziose energie dei giovani in forme e direzioni utili per la società, ma prima di tutto per loro stessi e il futuro che li attende comunque. Il dramma, per tanti cosiddetti esperti ed opinionisti, è che a questo punto latitano le idee.

domenica 1 febbraio 2009

CESTIPEDIA: Il vocabolario slang veneto-trentino

Cestipedia” è il vocabolario on-line del linguaggio giovanile veneto-trentino.
L'indirizzo a cui trovarlo è il seguente:
http://cestipedia.blogspot.com/
Gli aggiornamenti sono costanti e chiunque può facilmente collaborare alla manutenzione di questo “Vocaboslang”: basta inviare una e-mail all'indirizzo
savemir@tin.it con i termini di uso comune e/o le nuove parole che si ritiene siano da inserire nel vocabolario veneto-trentino, spiegandone il significato nel loro contesto.
Ogni segnalazione verrà presa in considerazione.
Una semplice cortesia: ricordatevi di specificare la zona di provenienza (o di utilizzo) del termine. In questo blog verranno pubblicati solo termini contenuti in messaggi con firma ed indirizzo e-mail.
Grazie per la vostra preziosa cooperazione.

mercoledì 14 gennaio 2009

CONFLITTO ISRAELE-PALESTINA: LA SOLUZIONE NON VERRA' DALLE ARMI

Che importanza ha davvero sapere, oggi come ieri, quale popolazione abbia ragione in Terra Santa? La violenza genera violenza, rancori che non si assopiscono mai del tutto, ferite interiori che rimangono, ed è sempre una soluzione sbagliata. Piuttosto che seguitare ad alimentare l'odio civile, perchè non organizzare o dare più spazio a una marcia di Ebrei e Palestinesi, Cattolici e Musulmani, che chiedono ai governi soltanto la Pace? Istigare continuamente alla rivolta armata, bruciare simboli o mostrare solo disprezzo per l'antagonista, come si continua a vedere in alcuni cortei, non ha senso, e non ne produrrà di migliore.
Il ricorso alle armi è sia una mezza vittoria sia una mezza sconfitta per entrambe le parti. La cultura della violenza non educa a nulla, ma serve solo ad addestrare futuri soldati. Il dialogo civile, sociale, culturale e interreligioso, è la vera arma vincente, perchè rappresenta prima di tutto il riconoscimento dell'antagonista, e non del nemico. Siamo uomini, abbiamo tutti dei difetti ma ciascuno possiede anche caratteristiche che possono riscattarci dagli errori. Per questo credo che la guerra, in fondo, sia voluta mantenere in larga parte da persone che stanno al potere e da soggetti ed entità esterni ai rispettivi confini dei contendenti, mentre nella stessa Gaza esistono sicuramente amicizie anche tra persone di etnie diverse.
Abbassare le armi una buona volta, incontrarsi davvero e riconoscere gli errori commessi da una parte e dall'altra, rappresenterebbe un segno di grandiosa responsabilità reciproca ed un importante messaggio, forse per stemperare definitivamente anche altri conflitti esistenti nel Mondo.
Vivere, se non da ottimi, almeno da responsabili vicini, senza più il bisogno di uccidersi, è già un ottimo risultato: ripensare a riformulare ciò costituirebbe finalmente un esempio di grande saggezza da parte di Israeliani e Palestinesi, un ritorno di quella preziosa virtù dei loro stessi antichi padri che tante lezioni ha reso all'Umanità. Fin qui si è provato di tutto, con esiti fallimentari, soprattutto sulla pelle di un numero indefinibile di inermi persone: perchè non provare adesso a costruire qualcosa che rimanga, attraverso una vera Pace Responsabile?

giovedì 8 gennaio 2009

E IN TRINCEA FIORIVANO I NEOLOGISMI

(Da “Il Giornale di Vicenza”, mercoledì 7 gennaio 2009, "Cultura & Spettacoli", pag. 38)
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STORIA. NUMEROSE LE TESTATE, DAI NOMI FANTASIOSI E CARATTERISTICI: LE TIPOGRAFIE ERANO NELLE IMMEDIATE RETROVIE, ANCHE A VICENZA E A PIOVENE ROCCHETTE
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Il ruolo dei giornali per le truppe durante la Grande Guerra
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di Saverio Mirijello
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Durante la Grande Guerra i giornali di trincea rivestirono particolare importanza per i soldati. Con il loro linguaggio spesso canzonatorio, accompagnati da molte illustrazioni e vignette, essi supplivano nelle lunghe attese in trincea al bisogno di dialogo col mondo civile, all'interesse per l'informazione e al desiderio di sdrammatizzare i disagi vissuti quotidianamente: il comune fante si riconosceva così nelle pungenti caricature, nelle argute sentenze, perfino nelle mordaci battute e nei proverbiali aneddoti. È un patrimonio ricchissimo che offre uno spaccato interessante dei cambiamenti della società e della mentalità dell'epoca. I fogli più diffusi e letti tra le truppe italiane traevano i loro titoli da varie fantasie ispiratrici: se alcuni si ricollegavano ai luoghi di combattimento ("Il Grappa", "L'Astico", "Il Montello"), altri riproponevano massicciamente simboli virili e militari ("Il grigio verde", "Il respiratore", "La giberna", "La giberna dei lettori", "La baionetta", "La bomba a penna", "La trincea", "La potenza", "La tradotta"), veementi esortazioni e pronte adesioni alla causa ("Sempre avanti", "Signor Sì") o un piglio cronachistico e caricaturista ("Gli avvenimenti", "Il lapis", "San Marco", "La notizia al fante", "L'eco caricaturista", "La ghirba", addirittura "La cornata"). Si tratta di giornali e ciclostilati dai nomi più o meno altisonanti e dalle alterne vicende (alcuni uscirono per poco tempo, altri durarono fino al 1919: erano pubblicazioni giocoforza irregolari, date le difficoltà del periodo). Le loro tipografie si trovavano prevalentemente vicine alle zone di guerra (anche "L'Astico" e "Signor Sì" si stamparono a Piovene e a Vicenza) e gli argomenti trattati non erano necessariamente superficiali o banali: spaziavano dalla mera propaganda alle campagne contro l'alcol, dai concorsi d'inventiva tra combattenti all'umorismo graffiante e ai giochi di svago. I NEOLOGISMI. Frequenti erano anche i neologismi: i fogli di trincea si rivelarono infatti un'autentica miniera di nuovi vocaboli e forme espressive. Molti termini e perifrasi, oggi utilizzati abitualmente, nacquero e si diffusero proprio a quel tempo. Ad esempio, "asso" ("campione in qualche specialità") era riferito specialmente a chi "atterrava" molti aeroplani. Con "capocchia" si indicava la testa. Allo stesso modo, fare una cosa "a capocchia" voleva dire farla senza testa. "Cappello", spiegava "L'Astico", tra i fogli più letti dai combattenti sulle montagne vicentine, era «il risentimento prodotto da una lesione alla vanità, all'ambizione, alla presunzione. Regola militare: chi prende cappello, paga da bere ai compagni. Quando il risentimento è molto forte si chiama "prender cilindro"»."Tagliare la corda", esattamente come s'intende oggi, significava scappare. "Fesseria" indicava una minchioneria commessa da un militare, per cui "fesso" inevitabilmente era il minchione. "Far fesso qualcuno" significava dunque imbrogliarlo: «Far fesso il superiore è l'ideale del cattivo inferiore che finisce col far del male anche a sé stesso perché l'onestà è la furberia più sicura»."Grana" equivaleva a mancanza, irregolarità, cosa non liscia, una contravvenzione al regolamento. Quando il superiore si accorge dell'irregolarità e ne chiede conto, "pianta la grana". Se non ne lascia mai passar una si chiama "piantagrane". Per "scoppia la grana" si soleva intendere quando qualcuno sta per piantarla. Con "passare" ci si riferiva al trasferimento d'una cosa rubata. Gli artiglieri dicevano: "è passata in artiglieria", mentre tra i fanti era più comune: "è passata in fanteria". "Scassato", termine giunto, per così dire, intatto fino ai nostri giorni, significava guasto, rotto ("s'è scassato una gamba"). Così "moka", il caffè dei soldati (frase tipica anche sul fronte vicentino: "Non è ancora venuto su il moka"). Con "pignolo" la truppa indicava il superiore pedante che si perde in minuzie, mentre con "ciclamino" veniva bollato l'imboscato "nel più profondo del bosco". Esistevano pure neologismi esilaranti, tra cui "culiferica": sulla neve o sull'erba bagnata era "il mezzo più rapido per andar giù". Bastava infatti "sedersi, e in pochi minuti si arriva a destinazione. Ma… salutami i pantaloni!". Davvero, altri tempi.

mercoledì 7 gennaio 2009

UN SOGNO (QUASI) IMPOSSIBILE

Nel 1792 un buon numero di schiavi neri parteciparono ai lavori di edificazione della Casa Bianca, e in tutto ben 12 presidenti degli Stati Uniti furono proprietari di schiavi, 8 di loro mentre erano in carica. Tra meno di 2 settimane, una famiglia di afro-americani prenderà ufficialmente possesso della Casa Bianca. Il padre di Barack Obama era originario del Kenya. E un trisavolo di sua moglie Michelle, la nuova first-lady, come pure ormai molti sanno, era uno schiavo in South Carolina. A volte, ciò che sembra impossibile diviene realtà. Chissà che un altro sogno impossibile possa realizzarsi, un sogno per realizzare il quale sarebbe assolutamente necessario il massimo sforzo di Barack Obama: la pace tra israeliani e palestinesi. Sarà estremamente difficile, per non dire quasi impossibile. Dopo aver assunto il potere, 8 anni fa, George W. Bush disse a un fidato collaboratore: “Non ci sono premi Nobel da vincere nel conflitto israeliano-palestinese”. Bush in Medio Oriente si dedicò così ad altre cause, con i noti risultati. Ma come Obama disse mesi fa in un discorso pronunciato a Washington davanti all’American Israel Public Affairs Committee, il sacro libro ebraico del Talmud contiene un imperativo: “Tikkun olam”, ovvero l’obbligo di riparare i danni del mondo. Può darsi che Barack Obama in 4 o in 8 anni alla Casa Bianca non possa vincere alcun premio Nobel per la pace o riparare alcunchè tra israeliani e palestinesi, ma gli rimane almeno l’obbligo morale di provarci. Il costo di non farlo si paga in un alto tributo di sangue, come quello che scorre a Gaza in questi giorni. La storia dimostra che talvolta si può realizzare l’impossibile: irlandesi e inglesi hanno di fatto risolto un conflitto che durava dai tempi di Oliver Cromwell. E il 20 gennaio il primo presidente afro-americano entrerà alla Casa Bianca, una casa costruita con le mani e la schiena di molti anonimi schiavi neri. (Un ringraziamento personale a Enrico Franceschini)