(Da “Il Giornale di Vicenza”, mercoledì 7 gennaio 2009, "Cultura & Spettacoli", pag. 38)
-
STORIA. NUMEROSE LE TESTATE, DAI NOMI FANTASIOSI E CARATTERISTICI: LE TIPOGRAFIE ERANO NELLE IMMEDIATE RETROVIE, ANCHE A VICENZA E A PIOVENE ROCCHETTE
-
Il ruolo dei giornali per le truppe durante la Grande Guerra
-
di Saverio Mirijello
-
Durante la Grande Guerra i giornali di trincea rivestirono particolare importanza per i soldati. Con il loro linguaggio spesso canzonatorio, accompagnati da molte illustrazioni e vignette, essi supplivano nelle lunghe attese in trincea al bisogno di dialogo col mondo civile, all'interesse per l'informazione e al desiderio di sdrammatizzare i disagi vissuti quotidianamente: il comune fante si riconosceva così nelle pungenti caricature, nelle argute sentenze, perfino nelle mordaci battute e nei proverbiali aneddoti. È un patrimonio ricchissimo che offre uno spaccato interessante dei cambiamenti della società e della mentalità dell'epoca. I fogli più diffusi e letti tra le truppe italiane traevano i loro titoli da varie fantasie ispiratrici: se alcuni si ricollegavano ai luoghi di combattimento ("Il Grappa", "L'Astico", "Il Montello"), altri riproponevano massicciamente simboli virili e militari ("Il grigio verde", "Il respiratore", "La giberna", "La giberna dei lettori", "La baionetta", "La bomba a penna", "La trincea", "La potenza", "La tradotta"), veementi esortazioni e pronte adesioni alla causa ("Sempre avanti", "Signor Sì") o un piglio cronachistico e caricaturista ("Gli avvenimenti", "Il lapis", "San Marco", "La notizia al fante", "L'eco caricaturista", "La ghirba", addirittura "La cornata"). Si tratta di giornali e ciclostilati dai nomi più o meno altisonanti e dalle alterne vicende (alcuni uscirono per poco tempo, altri durarono fino al 1919: erano pubblicazioni giocoforza irregolari, date le difficoltà del periodo). Le loro tipografie si trovavano prevalentemente vicine alle zone di guerra (anche "L'Astico" e "Signor Sì" si stamparono a Piovene e a Vicenza) e gli argomenti trattati non erano necessariamente superficiali o banali: spaziavano dalla mera propaganda alle campagne contro l'alcol, dai concorsi d'inventiva tra combattenti all'umorismo graffiante e ai giochi di svago. I NEOLOGISMI. Frequenti erano anche i neologismi: i fogli di trincea si rivelarono infatti un'autentica miniera di nuovi vocaboli e forme espressive. Molti termini e perifrasi, oggi utilizzati abitualmente, nacquero e si diffusero proprio a quel tempo. Ad esempio, "asso" ("campione in qualche specialità") era riferito specialmente a chi "atterrava" molti aeroplani. Con "capocchia" si indicava la testa. Allo stesso modo, fare una cosa "a capocchia" voleva dire farla senza testa. "Cappello", spiegava "L'Astico", tra i fogli più letti dai combattenti sulle montagne vicentine, era «il risentimento prodotto da una lesione alla vanità, all'ambizione, alla presunzione. Regola militare: chi prende cappello, paga da bere ai compagni. Quando il risentimento è molto forte si chiama "prender cilindro"»."Tagliare la corda", esattamente come s'intende oggi, significava scappare. "Fesseria" indicava una minchioneria commessa da un militare, per cui "fesso" inevitabilmente era il minchione. "Far fesso qualcuno" significava dunque imbrogliarlo: «Far fesso il superiore è l'ideale del cattivo inferiore che finisce col far del male anche a sé stesso perché l'onestà è la furberia più sicura»."Grana" equivaleva a mancanza, irregolarità, cosa non liscia, una contravvenzione al regolamento. Quando il superiore si accorge dell'irregolarità e ne chiede conto, "pianta la grana". Se non ne lascia mai passar una si chiama "piantagrane". Per "scoppia la grana" si soleva intendere quando qualcuno sta per piantarla. Con "passare" ci si riferiva al trasferimento d'una cosa rubata. Gli artiglieri dicevano: "è passata in artiglieria", mentre tra i fanti era più comune: "è passata in fanteria". "Scassato", termine giunto, per così dire, intatto fino ai nostri giorni, significava guasto, rotto ("s'è scassato una gamba"). Così "moka", il caffè dei soldati (frase tipica anche sul fronte vicentino: "Non è ancora venuto su il moka"). Con "pignolo" la truppa indicava il superiore pedante che si perde in minuzie, mentre con "ciclamino" veniva bollato l'imboscato "nel più profondo del bosco". Esistevano pure neologismi esilaranti, tra cui "culiferica": sulla neve o sull'erba bagnata era "il mezzo più rapido per andar giù". Bastava infatti "sedersi, e in pochi minuti si arriva a destinazione. Ma… salutami i pantaloni!". Davvero, altri tempi.
Nessun commento:
Posta un commento