Ci sono lettere che coniugano alla perfezione Amore e Morte: sono quelle dei condannati a perdere di lì a poco la vita, da chi è consapevole di vivere le ultime ore della sua esistenza. Presso il Museo del Sacrario Militare di Asiago (Vicenza) è esposta una lettera-testamento (http://www.anacanove.it/museoguerra/?Lettera_testamento_del_Ten._Adolfo_Ferrero), terminata nella notte della vigilia della battaglia dell’Ortigara (giugno 1917) dal ten. Adolfo Ferrero, torinese, 20 anni, appartenente al 30° Reggimento Alpini Battaglione Val Dora. Decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare, laureato ad Honorem in Lettere e Filosofia, cadde il giorno dopo averla scritta e le sue spoglie riposano nel Sacrario Militare di Asiago. All'ingresso del Sacrario è esposta anche una copia della stessa lettera, vergata due volte dallo stesso soldato affinché potesse giungere a destinazione ai suoi cari. Ai margini dei fogli che la compongono si scorgono delle macchie: sono di sangue.
Ogni volta che la leggo, provo un tuffo al cuore. Testimonia l’attesa consapevole di una tragica fine, comunque eroica ma pur sempre di un giovane appena affacciatosi alla cognizione della responsabilità nella vita, verso sé stesso e nei confronti degli altri. Totalmente appassionata e dall’amarissimo sapore, è anche l’ultimo appello di un disperato attaccamento alla vita e al ricordo degli altri. Essa è divenuta patrimonio universale, e oggi possiede un valore simbolico inestimabile. Non esiste estate in cui, quando mi reco sull’Altopiano dei Sette Comuni e intravedo il Sacrario, non penso, almeno per un momento, a quel giovanissimo ufficiale italiano e a quei fogli che gridano incessantemente amore con tutta la forza possibile. Mi fa piacere ricordare che lui e il suo esempio rimangono vivi e palpitanti, e che il suo nome non è andato perduto nella nebbia della guerra. Il testo di quel tenente caduto sull’Ortigara è la rappresentazione perfetta dello stato d’animo e del coraggio di tanti altri uomini, fossero rispettivamente suoi sottoposti o pari grado (molti soldati, se sapevano scrivere, ci riuscivano a stento), e credo esprima perfettamente ciò che tutti provavano nelle stesse ore. Quando vi capita di passare da quelle parti, non dimenticate di rivolgere loro un piccolo pensiero. Non vi costa nulla e nello stesso tempo potrete continuare a spostarvi in libertà e ad assaporare la vita del vostro giorno, magari insieme a chi amate. Anche questo è un modo per ringraziare Adolfo Ferrero e tutti gli altri Caduti per averci concesso di godercela.
Ogni volta che la leggo, provo un tuffo al cuore. Testimonia l’attesa consapevole di una tragica fine, comunque eroica ma pur sempre di un giovane appena affacciatosi alla cognizione della responsabilità nella vita, verso sé stesso e nei confronti degli altri. Totalmente appassionata e dall’amarissimo sapore, è anche l’ultimo appello di un disperato attaccamento alla vita e al ricordo degli altri. Essa è divenuta patrimonio universale, e oggi possiede un valore simbolico inestimabile. Non esiste estate in cui, quando mi reco sull’Altopiano dei Sette Comuni e intravedo il Sacrario, non penso, almeno per un momento, a quel giovanissimo ufficiale italiano e a quei fogli che gridano incessantemente amore con tutta la forza possibile. Mi fa piacere ricordare che lui e il suo esempio rimangono vivi e palpitanti, e che il suo nome non è andato perduto nella nebbia della guerra. Il testo di quel tenente caduto sull’Ortigara è la rappresentazione perfetta dello stato d’animo e del coraggio di tanti altri uomini, fossero rispettivamente suoi sottoposti o pari grado (molti soldati, se sapevano scrivere, ci riuscivano a stento), e credo esprima perfettamente ciò che tutti provavano nelle stesse ore. Quando vi capita di passare da quelle parti, non dimenticate di rivolgere loro un piccolo pensiero. Non vi costa nulla e nello stesso tempo potrete continuare a spostarvi in libertà e ad assaporare la vita del vostro giorno, magari insieme a chi amate. Anche questo è un modo per ringraziare Adolfo Ferrero e tutti gli altri Caduti per averci concesso di godercela.
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