Nascita di un cecchino tra gli orrori della guerra
Appassionante è la vicenda del sergente vicentino Bicchi che viene scelto in fanteria per diventare tiratore e chiudere col passato
Cosa passa per la testa di un tiratore di
precisione? Cosa pensa quando preme il grilletto? E quanto è lungo e tormentato
l'avvicinamento all'obiettivo prescelto? Ce lo hanno raccontato oggi film come
"American Sniper" o "Il nemico alle porte" e ancora con più
crudeltà le dirette Tv da Sarajevo, quando durante la guerra di Bosnia sul
viale dei cecchini sono caduti in centinaia. Ma mancava ancora, nella fioritura
di testi per il 100° della Grande Guerra, qualcuno che scrivesse di chi, nelle
file del nostro esercito, aveva ricoperto questo ruolo già ampiamente praticato
sul fronte austriaco. Cecchino era il soldato austro-ungarico dell'imperatore
Cecco Beppe, che non aveva pietà, un tiratore da temere e da tenere lontano.
Un nome dispregiativo. Col romanzo "La caldaia delle streghe", 214 pagine
per Attilio Fraccaro editore, l'appassionato ricercatore storico Saverio Mirijello colma questo vuoto. Il tiratore scelto di cui narrare
la storia è il sott'ufficiale Luigi Bicchi, vicentino, fante nella IV compagnia
del 129esimo. Un nome di fantasia, un trascorso tra Monte Zebio, Carso e un
presente sul Pasubio, giusto sui bordi di quella "caldiera delle
streghe", così chiamata da un militare austriaco reduce da bufere di neve
e arsure insopportabili. Bicchi è un bravo soldato, con qualche ombra disciplinare,
che viene convocato all'improvviso nelle retrovie per divenire tiratore. Spara
da quando è ragazzino, a 10 anni va a caccia col padre e lo zio, assimila
presto la pazienza dell'appostamento e la freddezza dell'esecuzione. Ma poi da
giovane, chiamato alle armi, come tanti coetanei si chiede il perchè del
conflitto: «Molti compreso il sottoscritto, disconoscevano le effettive
ragioni, non era certo motivante nè corroborava lo spirito. Del pugno di ferro
imposto da Cadorna, e di tutto quell'enorme catafalco politico e militare che
lo sorreggeva, continuavo sinceramente a infischiarmene». Ma Luigi combatte,
perchè serve il Re e la sua Patria. E soprattutto deve coprire chi va
all'assalto. Quando fallisce e muoiono i compagni più vicini, il tormento lo divora.
Viene ferito gravemente, è soccorso dai suoi che non lo abbandonano ma quando
viene spedito in licenza a casa dai genitori, non riesce a consumarla tutta,
perchè l'estraniamento è tale che il fronte di nuovo lo chiama. Eseguirà fino
in fondo il suo dovere su uno scenario di armamenti puntigliosamente descritto
da Mirijello, con una
competenza che gli vale i complimenti di Federico Prizzi, polemologo e storico
militare, autore della incisiva prefazione. Ogni trasferimento ed ogni missione
di Luigi Bicchi è in realtà un pretesto per aprire parentesi sugli aspetti più
duri della vita di trincea, dalla mancanza d'acqua - ci sono pagine di assoluta
emozione - all'impossibilità di comunicare con l'esterno, dalla guerra ai
pidocchi alla legge marziale che interviene quando i soldati familiarizzano col
nemico. E' carcere per chi lancia un pezzo di pane e ne riceve in cambio un
pacchetto di sigarette. E' carcere per chi risponde all'austriaco che grida
"come stai?". Anche un "Buon Natale" equivale al reato di
"agevolazione al nemico". Tutto questo narra Mirijello, insieme alle lezioni di balistica e alla favola di un amore
vicentino per Luigi, la commessa Anna che lo attende in città, ogni volta che
sbuca in divisa tra ondate di vapore e si fa travolgere da un abbraccio in
stazione. Dopo un inverno tremendo sul Pasubio, costruita la Strada delle
Gallerie, inizia la guerra sotterranea tra i Denti. Ancora morte e distruzione,
per lui altri sei mesi sul fronte del Carso fino al congedo e alle medaglie al
valore. «Non mi interessava essere considerato un eroe: speravo solo che mia
figlia ricordasse quanto a più lungo possibile il fatto che suo padre e sua
madre si erano battuti per qualcosa di migliore e di più grande» è la chiusa di
Bicchi, che affida il diario ai posteri e alle montagne, finalmente mansuete.
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