È una fredda mattina del 1931. L’ispettore Malossi è svegliato da
una telefonata della questura: abbandonato sui binari della ferrovia
Firenze-Prato, giace un cadavere. Non è il corpo di un uomo qualsiasi, ma
quello del generale Andrea Graziani, luogotenente della Milizia fascista ed
“eroe” della Grande guerra. Come è morto l’anziano militare? Si è trattato di
un incidente o di un omicidio? È l’inizio di “Prima dell’alba” (Neri
Pozza), il nuovo romanzo di Paolo Malaguti, che accompagna il lettore in
un’avvincente indagine a ritroso nel tempo, fino ai giorni bui del Primo
conflitto mondiale. «Ho pensato per anni a un libro sul dramma dei soldati
nella Grande guerra» spiega l’autore, trentanove anni e da molto tempo
residente nella zona del Monte Grappa.
«Qui la memoria del conflitto è
ancora vivissima, quasi in ogni famiglia c’è un appassionato che ha il suo
piccolo museo di reperti di guerra. I segni delle battaglie come Caporetto sono
ancora dappertutto e favoriscono anche nei giovani l’interesse per quel periodo
storico. Ma a darmi lo spunto per iniziare a scrivere è stata la vicenda del
generale Graziani: la sua morte misteriosa negli anni Trenta e i crimini che ha
commesso quando era al fronte».
Noto alle cronache per la brutalità
nei confronti dei sottoposti, lo spietato generale “fucilatore” compì il
suo gesto più efferato durante la tragica ritirata del 1917, condannando a
morte il ventiquattrenne artigliere Alessandro Ruffini, reo di aver fatto il
saluto militare con il sigaro in bocca. Partendo da questo episodio storico,
Malaguti propone una possibile soluzione per un cold case dimenticato dalla
storia, per allargare lo sguardo a un tema più ampio, quello delle punizioni
disumane che venivano inferte ai fanti italiani. Soldati, nati nelle aree più
povere e arretrate del paese, che spesso non riuscivano nemmeno a capirsi tra
di loro, in un contesto dove un piccolo errore di comunicazione poteva fare la
differenza tra la vita e la morte. «Ho potuto ricostruire l’atmosfera di
quei giorni», racconta Malaguti, «grazie al libro sul gergo di trincea
1914-18 Parole dal fronte di Saverio Mirijello, che mi ha dato gli strumenti
per scrivere dialoghi il più possibile credibili. Perché quello che volevo era
portare alla luce un aspetto che ancora oggi, a cent’anni di distanza, si fa
fatica ad affrontare: la realtà di una guerra non compresa e non voluta da
quegli italiani — spesso poveri contadini — che formavano il grosso della
truppa» e che erano trattati dagli alti gradi come carne da cannone. (di
Luigi Gaetani, “la Repubblica” del 22 Ottobre 2017)
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