mercoledì 14 gennaio 2009
CONFLITTO ISRAELE-PALESTINA: LA SOLUZIONE NON VERRA' DALLE ARMI
giovedì 8 gennaio 2009
E IN TRINCEA FIORIVANO I NEOLOGISMI
Si tratta di giornali e ciclostilati dai nomi più o meno altisonanti e dalle alterne vicende (alcuni uscirono per poco tempo, altri durarono fino al 1919: erano pubblicazioni giocoforza irregolari, date le difficoltà del periodo). Le loro tipografie si trovavano prevalentemente vicine alle zone di guerra (anche "L'Astico" e "Signor Sì" si stamparono a Piovene e a Vicenza) e gli argomenti trattati non erano necessariamente superficiali o banali: spaziavano dalla mera propaganda alle campagne contro l'alcol, dai concorsi d'inventiva tra combattenti all'umorismo graffiante e ai giochi di svago. I NEOLOGISMI. Frequenti erano anche i neologismi: i fogli di trincea si rivelarono infatti un'autentica miniera di nuovi vocaboli e forme espressive. Molti termini e perifrasi, oggi utilizzati abitualmente, nacquero e si diffusero proprio a quel tempo. Ad esempio, "asso" ("campione in qualche specialità") era riferito specialmente a chi "atterrava" molti aeroplani. Con "capocchia" si indicava la testa.
Allo stesso modo, fare una cosa "a capocchia" voleva dire farla senza testa. "Cappello", spiegava "L'Astico", tra i fogli più letti dai combattenti sulle montagne vicentine, era «il risentimento prodotto da una lesione alla vanità, all'ambizione, alla presunzione. Regola militare: chi prende cappello, paga da bere ai compagni. Quando il risentimento è molto forte si chiama "prender cilindro"»."Tagliare la corda", esattamente come s'intende oggi, significava scappare. "Fesseria" indicava una minchioneria commessa da un militare, per cui "fesso" inevitabilmente era il minchione. "Far fesso qualcuno" significava dunque imbrogliarlo: «Far fesso il superiore è l'ideale del cattivo inferiore che finisce col far del male anche a sé stesso perché l'onestà è la furberia più sicura»."Grana" equivaleva a mancanza, irregolarità, cosa non liscia, una contravvenzione al regolamento. Quando il superiore si accorge dell'irregolarità e ne chiede conto, "pianta la grana". Se non ne lascia mai passar una si chiama "piantagrane". Per "scoppia la grana" si soleva intendere quando qualcuno sta per piantarla. Con "passare" ci si riferiva al trasferimento d'una cosa rubata. Gli artiglieri dicevano: "è passata in artiglieria", mentre tra i fanti era più comune: "è passata in fanteria". "Scassato", termine giunto, per così dire, intatto fino ai nostri giorni, significava guasto, rotto ("s'è scassato una gamba"). Così "moka", il caffè dei soldati (frase tipica anche sul fronte vicentino: "Non è ancora venuto su il moka"). Con "pignolo" la truppa indicava il superiore pedante che si perde in minuzie, mentre con "ciclamino" veniva bollato l'imboscato "nel più profondo del bosco". Esistevano pure neologismi esilaranti, tra cui "culiferica": sulla neve o sull'erba bagnata era "il mezzo più rapido per andar giù". Bastava infatti "sedersi, e in pochi minuti si arriva a destinazione. Ma… salutami i pantaloni!". Davvero, altri tempi.mercoledì 7 gennaio 2009
UN SOGNO (QUASI) IMPOSSIBILE
Nel 1792 un buon numero di schiavi neri parteciparono ai lavori di edificazione della Casa Bianca, e in tutto ben 12 presidenti degli Stati Uniti furono proprietari di schiavi, 8 di loro mentre erano in carica. Tra meno di 2 settimane, una famiglia di afro-americani prenderà ufficialmente possesso della Casa Bianca. Il padre di Barack Obama era originario del Kenya. E un trisavolo di sua moglie Michelle, la nuova first-lady, come pure ormai molti sanno, era uno schiavo in South Carolina. A volte, ciò che sembra impossibile diviene realtà. Chissà che un altro sogno impossibile possa realizzarsi, un sogno per realizzare il quale sarebbe assolutamente necessario il massimo sforzo di Barack Obama: la pace tra israeliani e palestinesi. Sarà estremamente difficile, per non dire quasi impossibile. Dopo aver assunto il potere, 8 anni fa, George W. Bush disse a un fidato collaboratore: “Non ci sono premi Nobel da vincere nel conflitto israeliano-palestinese”. Bush in Medio Oriente si dedicò così ad altre cause, con i noti risultati. Ma come Obama disse mesi fa in un discorso pronunciato a Washington davanti all’American Israel Public Affairs Committee, il sacro libro ebraico del Talmud contiene un imperativo: “Tikkun olam”, ovvero l’obbligo di riparare i danni del mondo. Può darsi che Barack Obama in 4 o in 8 anni alla Casa Bianca non possa vincere alcun premio Nobel per la pace o riparare alcunchè tra israeliani e palestinesi, ma gli rimane almeno l’obbligo morale di provarci. Il costo di non farlo si paga in un alto tributo di sangue, come quello che scorre a Gaza in questi giorni. La storia dimostra che talvolta si può realizzare l’impossibile: irlandesi e inglesi hanno di fatto risolto un conflitto che durava dai tempi di Oliver Cromwell. E il 20 gennaio il primo presidente afro-americano entrerà alla Casa Bianca, una casa costruita con le mani e la schiena di molti anonimi schiavi neri. (Un ringraziamento personale a Enrico Franceschini)