lunedì 23 agosto 2010

UNA STRADA CHE NON FINISCE

Anche adesso che lui, un caro amico di Belluno al quale giusto ieri pomeriggio avevo scritto, non c’è più a causa di un assurdo proiettile, anche adesso che la rabbia dell’impotenza umana a riportare indietro il tempo mi ha ormai vinto, sono convinto che oltre la parentesi terrena che ci spetta nulla possa realmente fermare il cuore, l’animo e la ragione di un uomo che crede in Dio e nel prossimo, come è stato e come sarà sempre don Francesco Cassol. Anch’io sarò sempre riconoscente a dFC, come si firmava nelle e-mail. Abbiamo trascorso insieme bellissime ore parlando di Papa Luciani quando a metà degli anni ’90 mi recai spesso a S. Giustina, nel Centro che custodisce con amore e delicatezza la sua memoria e il suo grande spirito, per approfondire lo studio che mi portò a scrivere il libro su Giovanni Paolo I, utilizzato poi anche dalla Rai, e in altre occasioni, come in occasione del trentennale del pontificato di Luciani. Ogni volta era come la prima in cui lo conobbi e immediatamente seppe trasmettermi serenità e fiducia, e non cesserò di ricordarne la rassicurante voce, tante battute e frasi con cui custodirò per sempre anche il suo ricordo, oltre alla bellissima dedica sulla mia copia personale di quel testo. Chi ha amato la vita e la vera ricchezza dell’animo, come don Francesco Cassol, finisce il suo percorso soltanto sulla terra. A Francesco, una persona estremamente sensibile, di profonda cultura pratica e instancabilmente alla ricerca di una possibilità di riuscita per l’amore, continuerò a rivolgermi con tutta la gratitudine che potrò per dirgli che sono riconoscente di questo e di tanto altro: per la sua capacità di ascoltare, di rincuorare, di infondere coraggio, di regalare parole di conforto e di un perenne affetto, una vera e inossidabile amicizia. Mi mancherà moltissimo, e andrò fiero di averlo conosciuto. Dopo aver vissuto da umile esploratore Don Francesco Cassol è andato avanti, come si dice semplicemente tra gli uomini di montagna, e rispetto a tante altre persone che dovrebbero stare vicine alla gente in difficoltà e in realtà non lo fanno, ha saputo andare oltre il giudizio e le critiche, spesso ingiuste, che vengono indirizzate soltanto a coloro che non vivono di comodità, di conformismo e luoghi comuni. Non tutti hanno il coraggio di seguire questo cammino. A lui, gran sacerdote perchè ha saputo rappresentare con determinazione un punto di riferimento per tante persone della comunità, è un titolo maggiore che va riconosciuto. Davanti a sé questo vero pastore delle anime continuerà ad indicare una strada, proprio come Albino Luciani: sorridenti comete soltanto per noi uomini. La sua ricerca della spiritualità attraverso la preghiera, la riflessione e la solitudine, come nella landa desolata in cui la sua vita terrena è terminata, è un esempio di ciò che non riusciamo più a ricordarci di fare noi che rimaniamo in questi tempi aridi. L’insegnamento che io ho ricevuto da Francesco è di guardare oltre con coraggio, fermezza e passione, senza smarrire il buonumore e la speranza di un domani migliore anche per questa ostinazione a credere nella vita. Non è vano ottimismo, è volontà di credere davvero in ciò che rende degni di aver vissuto e costituito una esistenza per gli altri e con gli altri. Penso sia l'esempio che Francesco ha lasciato a tutti noi. Qualunque sia la meta da raggiungere, anche quella più lontana e apparentemente irraggiungibile, ci sono percorsi che desidereremmo non avessero mai fine. Per Francesco Cassol e per tutti coloro che continueranno a volergli bene, questo viaggio non avrà mai termine. So che adesso Papa Luciani, “col suo sorriso e il suo carattere di ferro”, come Francesco mi diceva, lo ha già accolto al suo fianco, orgoglioso come tutti noi che quaggiù gli vogliamo bene. Sembra strano, ma a Francesco io non ho mai dato del tu. Lo faccio adesso, per ringraziarlo ancora di tutto quello che anche a me ha saputo donare col suo immenso animo: non si tratta di un addio Francesco, è l’incolmabile tristezza di saperti lontano dagli occhi, ma è pure la serenità di saperti vicino nel cuore, e in fondo di dover soltanto aspettare un po’ di più per rivederti.

martedì 17 agosto 2010

IL SOLDATO FANCIULLO TRA I MILLE DI GARIBALDI

(da "Il Piccolo" di Trieste, 15 agosto 2010, pag. 24, sezione: CULTURA - SPETTACOLO)
di SAVERIO MIRIJELLO. Nella celebrazione dei Mille e dell’Italia unita corriamo forse un rischio: perdere di vista gli uomini che ne sono stati protagonisti, accanto a Garibaldi e a Cavour. Protagonisti veri, di recente riscoperti, come Domenico Cariolato. Figura emblematica e potente della stagione risorgimentale, nella sua vita è condensato l’umore di un’epoca. Il vicentino Domenico Cariolato (1835-1910) fu uno degli oltre 1.080 volontari in camicia rossa guidati da Giuseppe Garibaldi e tra gli uomini di maggior fiducia dell’Eroe dei Due Mondi. Rimanendogli sempre al fianco, nelle ore gloriose come in quelle delle sconfitte più brucianti, e partecipando alle sue vicende personali, oltre ai numerosi riconoscimenti di valore Cariolato seppe guadagnarsi una stima particolare e l’affetto incondizionato di Garibaldi («valoroso mio fratello d’armi in tutte le battaglie italiane a cui ebbi l’onore di partecipare»: così gli scrisse in una lettera inviata da Caprera il 21 luglio 1874). Una volta riposta l’uniforme, a cavallo tra l'Ottocento e il secolo scorso, Cariolato seppe distinguersi calandosi anche da protagonista di riferimento nel contesto civile, partecipando al dibattito sociale e alle dispute del panorama politico. La disposizione di Cariolato ad affrontare il rischio si manifesta presto. Ad appena 12 anni, infatti, il 10 giugno 1848, durante l’assedio della città da parte delle truppe austriache del maresciallo Johann Joseph Franz Karl, conte di Radetzky, salva dalla morte una madre e i suoi bambini: verrà decorato con una medaglia di bronzo al valor militare. Ricordato come impavido e tenace combattente, Cariolato partecipa alle più importanti battaglie del Risorgimento. Dopo la capitolazione della città, accorre in Lombardia e si arruola nel battaglione vicentino, la legione di Garibaldi, schierandosi al fianco di quest’ultimo a Luino e a Morazzone, durante la campagna del 1848-’49, dopo la quale Garibaldi si rifugia in Svizzera. Rifugiatosi anch’egli in terra elvetica, ne ritorna ben presto per rimettersi in campo. Sempre nel 1849 prende parte all’insurrezione di Genova, combattendo valorosamente nella successiva difesa della Repubblica Romana. Nel 1859 Cariolato si schiera come volontario nelle Guide a Cavallo dei Cacciatori delle Alpi. Alla vigilia dell’imbarco di Quarto, lo ritroviamo a Genova: ad appena 24 anni, è già al fianco di uomini esperti e maturi. Dell’incontro a Genova e del Cariolato già veterano di battaglie, nella sua rievocazione storica sui Mille, Giuseppe Cesare Abba ricorda quando questi procura un alloggio a lui e ai suoi amici appena giunti per unirsi a Garibaldi. Partecipa così alla spedizione dei Mille, distinguendosi in particolar modo contro l’esercito borbonico a Calatafimi, nella vittoriosa giornata del 15 maggio 1860. Dal 1862 viene trasferito nell’Esercito regolare, entrando ufficialmente a far parte, dal 1866, del Reggimento “Lancieri di Milano”. Promosso al grado di Maggiore, tornerà a indossare la camicia rossa garibaldina come aiutante di campo. Garibaldi, che lo vuole al proprio quartier generale, assume nel 1866 il comando dei volontari nella campagna del Trentino e il fedele ufficiale si distingue a Bezzecca. Nel 1867, quando Garibaldi rompe gli indugi puntando su Roma contro la volontà dello stesso governo italiano, Cariolato è nominato colonnello e riceve l’incarico di recarsi nella capitale per promuovervi l’insurrezione popolare, fornendo un significativo contributo ai preparativi della campagna di Mentana, destinata a infrangersi contro il muro eretto dai Francesi. La carriera militare e la difesa dei principi in cui crede gli riservano ancora una gloriosa appendice: nel 1870 Cariolato è infatti uno dei comandanti della legione garibaldina che si batte contro i Prussiani per la difesa della Repubblica Francese e che libererà successivamente Digione. L’alto ufficiale vicentino lascia l’esercito per riforma nel 1872. I titoli di merito e il credito personale acquisiti nei confronti del generale nizzardo sono elevati al punto che nel 1882, quando questi spira a Caprera, Cariolato avrà con pochi intimi l’onore di depositarne nel feretro la salma. Riposta la divisa militare, sul piano politico, Cariolato si dimostra costantemente attivo nelle vesti di strenuo difensore dei fondamenti morali per i quali ha combattuto, costituendo un punto di riferimento per coloro che si ricollegano idealmente alle esperienze della lotta per la conquista dell’Unità nazionale. Cariolato trascorre l’ultimo periodo di vita a Roma, dove si spegne il 29 gennaio 1910, a 75 anni. Un’esistenza a tinte forti la sua, quasi come lo scorrere d’una emozionante pellicola, anche se si tratta semplicemente della storia di un uomo che ha cercato di rimanere coerente con i propri valori.

venerdì 6 agosto 2010


(Muchas gracias a Erlich - El Pais)

lunedì 2 agosto 2010

STAZIONE DI BOLOGNA: 2 AGOSTO 1980 - 2010

Appena due giorni prima di quell’ora, quelle 10,25 che anch’io mai dimenticherò, su un treno che tornava dalla Calabria, da quello stesso binario, passai con tutta la mia famiglia. Le comode verità, o verità di comodo della politica, prima o poi decadono. Così, per me, allo stesso modo di chi cerca ancora disperatamente ed ingenuamente la verità, trent’anni sono lunghi come un giorno.